Pagina:Odi di Pindaro (Romagnoli) I.djvu/254

Da Wikisource.

ODE PITIA IV 217


«da me tener lungi lo sdegno degl’Inferi. Frisso m’impose
«che andassi alla reggia d’Eèta,
«il vello a predar dell’aríete, sul quale dal mare, dall’arti


VIII


Strofe

«della noverca mia subdola, un giorno fui salvo.
«Tanto mi giunge a svelare mirabile un sogno. A Castalia
«mando a cercare se fede prestare gli debba; e risposta
«m’ebbi che appena ch’io possa prepari una nave e una schiera.
«Or compi tu quest’impresa; e regno e potere a te giuro
«ch’io cederò. Testimonio del giuro solenne, ad entrambi
«Giove, comune parente, sarà». Stabilito tal patto,
di lí si partirono. Ed ecco, Giasone


Antistrofe

messi spedí che annunciassero la gesta proposta
per ogni terra. E tre figli di Giove, guerrieri indomabili,
súbito giunsero: i nati d’Alcmena e di Leda. E due prodi
floride chiome, rampolli del Nume del pelago, mossero
consci del loro valore, da Pito, da Tènaro eccelsa:
e giunse al vertice allora la gloria d’Eufèmo, e la tua,
Periclimèno gagliardo. E Orfeo venne, figlio d’Apollo
signor della cetera, padre dei canti.


Epodo

Ermes dall’aurea verga due figli al periglio mandò
gèmini: Echione ed Èrito, rigogli di giovine forza.