Pagina:Odi di Pindaro (Romagnoli) I.djvu/91

Da Wikisource.
58 LE ODI DI PINDARO


gano la sua fortuna: né egli cerchi piú di quanto è concesso ai mortali.

Linea semplicissima, dunque; e la introduzione e la conclusione sono come vivagni brevi all’arazzo del mito, intessuto con arte meravigliosa. Eccolo nella esposizione elementare.

Tantalo, re di Lidia, era l’uomo piú amato dai Numi. Questi, fra altro, lo invitarono ad un banchetto in Olimpo, e, naturalmente, gl’imbandirono nettare ed ambrosia; ond’egli acquistò per sé e pei suoi discendenti, diritto all’immortalità. Tantalo restituì il banchetto ai Celesti, sul Monte Sipilo; e, per non rimanere indietro, fece fare a pezzi il proprio figliuolo, Pelope, e con le sue carni fece preparare un manicaretto. I Numi ebbero fiuto fine, e non ne gustarono: solo Demetra, distratta ed afflitta per il ratto recente della figliuola Persefone, trangugiò una spalla. I Numi, appurata la cosa, fecero rimettere insieme tutti i pezzi da Ermete; e la spalla mancante fu sostituita da una spalla d’avorio. Ermete tuffò poi il corpo cosí ricomposto in un lebete d’acqua bollente; e quando fu al punto giusto, Cloto, dea del destino, lo trasse su piú vivo di prima. A vederlo cosí rinnovato e con quell’omero d’avorio, Posidone se ne invaghì, e lo rapi su in Olimpo; dove, il fanciullo, predecessore di Ganimede, mescé nettare ai Numi.

Tantalo intanto ne faceva una piú grossa: rendeva gli uomini partecipi del nettare e dell’ambrosia. Onde i Numi gl’inflissero la notissima pena, e tolsero il privilegio dell’immortalità a lui ed al figliuolo.

Cosí Pelope tornò sulla terra; ed ebbe súbito modo di segnalarsi. Enomao, re d’Elide, aveva una figlia bellissima, Ippodamia. Chi aspirava alla sua mano, doveva vincere in corsa Enomao: se perdeva, Enomao lo faceva uccidere. Già tredici pretendenti erano stati cosí spacciati, quando Pelope s’invogliò anch’esso del cimento. Si recò di notte sulla spiaggia del mare, invocò il Dio suo protettore, ne ricevé aiuto,