Pagina:Odi di Pindaro (Romagnoli) II.djvu/10

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Nel piú antico codice vaticano la prima triade di questa ode è data come una composizione a sé, e le altre quattro pure come un’ode separata. La simiglianza del contenuto tra le presenti odi è evidente; e molto si è discusso pro e contro l’unione. Ma l’identità del metro basta da sola a dimostrare l’unità.

È composta per Melisso, figlio di Telesíade e discendente di Cleònimo, imparentato a sua volta coi Labdàcidi. La battaglia in cui caddero quattro dei Cleonimidi sarà quella di Platea: sicché l’ode andrà collocata dopo il 479 — non súbito dopo, ma quando Tebe s’era un po’ sollevata dall’onta e dal danno patito per aver combattuto a fianco dei nemici della patria. Il Gaspar la pone nel 475.

Un po’ massiccia e confusa a prima impressione, la composizione diventa invece assai chiara se si distinguono bene i blocchi di pensiero.

— Chi per qualsiasi ragione è in auge, se non monta in superbia, merita l’elogio dei concittadini. Il bene lo dà Giove; e Fortuna, sebbene incostante, si trattiene però a lungo presso i buoni (1-7).

Ai prodi convengono gl’inni. Melisso ha vinto ora due gare, alla corsa e al pancrazio. Anche Cleonimo, capostipite della sua famiglia, era famoso pei cocchi: e sempre la loro stirpe si piacque di allevar corsieri, profondendovi le ricchezze