Pagina:Odi di Pindaro (Romagnoli) II.djvu/108

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È questa la seconda delle odi scritte da Pindaro per i figli di Lampone. Come nei conviti si facevano le tre libagioni, la prima a Giove olimpico, la seconda alla Terra e agli Eroi, la terza a Giove salvatore, cosí Pindaro s’augura che a queste due vittorie ne succeda una terza: e l’augura piú gloriosa, olimpica (v. 7). Olimpica non fu, fu istmica; ma, ad ogni modo, al poeta non mancò l’occasione a questa terza libagione poetica.

Segue la consueta affermazione che se un uomo è ricco, se adopera la ricchezza a buon fine, e riscuote fama, tocca l’apice della felicità umana. Lampone si trova appunto in queste condizioni; e fa voti di rimaner sempre del medesimo umore (10-18).

Se io — seguita Pindaro — parlo di Egina, non posso non parlare degli Eàcidi: le loro gesta sono innumerevoli, la loro fama è diffusa per ogni terra. Chi non conosce Aiace e Telamone? — E qui narra le gesta di Telamone, a Troia, confondendo un po’, al solito, l’ordine cronologico, che dunque va restituito cosí.

Laomedonte, aiutato da Posidone e da Apollo a costruire Troia, aveva poi negato ai Numi il pattuito compenso. Onde Posidone, per punirlo, suscitò dal mare un mostro al quale i Troiani dovevano periodicamente sacrificare una fanciulla, tratta a sorte. La sorte designò una volta Esione, figlia di