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ODE NEMEA V 95


Balzerà dunque sulla prora, con le ali dischiuse, come la Nike di Samotracia, che piú tardi, e forse non senza ideal dipendenza, doveva dare visibile forma alla immagine pindarica. Ma già qualche opera di scultura dove’ librarsi alla fantasia di Pindaro. Da questa figurazione mirabile, il poeta si distacca per narrare le gesta degli Eàcidi; e quando il suo volo, che tocca l’apice alla metà dell’inno, declina, egli torna ancora, con ripresa musicale di bellissimo effetto, al tèma iniziale. Se la canzone giungerà, nella sua corsa, sino al regno delle ombre, apra tutte le vele, e canti all’avo Temistio la sua gloria.

La veemenza di questa figurazione è accresciuta da un’altra immagine, anche d’impeto, che rampolla vicino ad essa, quasi arbusto al piede d’un pino: quella del poeta che si lancia per superare una gran fossa. E la comparazione dell’aquila che col remeggio dell’ale valica, quasi d’un balzo, il pelago, amplia ancora d’un giro lo slancio lirico.

Artificiosi, come ho osservato, sono gli attacchi 7, 25-26, 42-43: esempi di simulata ispirazione. Legittima e bella è invece la transizione al v. 57. E nel complesso questa è fra le bellissime odi di Pindaro: e s’impone alla fantasia con una furia di movimenti e d’impeti di grandi masse, con effetto che trascende quasi il potere della parola.

Probabilmente, la composizione ne risale intorno al 489 (Cfr. Gaspar, op. cit., 63 seg., e il mio Pindaro, pag.138 sg.).