Pagina:Odissea (Pindemonte).djvu/110

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libro quinto 95

Dicesti, o donna, giustamente. Io terra
Molta trascorsi, e penetrai col guardo345
Di molti eroi nel sen: ma pari a quella
Del pazïente Ulisse alma io non vidi.
Quel, che oprò, basti, e che sostenne in grembo
Del cavallo intagliato, ove sedea,
Strage portando ad Ilio, il fior de’ Greci.350
Sospinta, io credo, da un avverso Nume,
Cui la gloria de’ Teucri a core stava,
Là tu giungesti, e uguale a un Dio nel volto
Su l’orme tue Deifobo venia.
Ben tre fïate al cavo agguato intorno355
T’aggirasti; e il palpavi, e a nome i primi
Chiamavi degli Achei, contraffacendo
Delle lor donne le diverse voci.
Nel mezzo assisi io, Dïomede, e Ulisse
Chiamar ci udimmo; e il buon Tidíde, ed io360
Ci alzammo, e di scoppiar fuor del cavallo,
O dar risposta dal profondo ventre,
Ambo presti eravam: ma nol permise,
E, benchè ardenti, ci contenne Ulisse.
Taceasi ogni altro, fuorchè il solo Antíclo,365
Che risponder voleati; e Ulisse tosto
La bocca gli calcò con le robuste
Mani inchiodate, nè cessò, che altrove