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122 odissea

Sorella, a che venistu? Io mai da prima
Non ti vedea, così da lunge alberghi;1020
E or vuoi, ch’io vinca quel martir, che in cento
Guise mi stringe l’alma, io, che un consorte
Perdei sì buon, di sì gran core, ornato
D’ogni virtù tra i Greci, ed il cui nome
Per l’Ellada risuona, e l’Argo tutta.1025
S’arroge a questo, che il diletto figlio
Partì su ratta nave, un giovinetto
Delle fatiche, e dell’usanze ignaro.
Più ancor per lui, che per Ulisse, io piango,
E temo, nol sorprenda o tra le genti1030
Straniere, o in mare, alcun sinistro: tanti
Nemici ha, che l’insidiano, e di vita
Prima il desian levar, ch’egli a me torni.
     Ratto riprese il simulacro oscuro:
Scaccia da te questi ribrezzi, e spera.1035
Compagna il siegue di cotanta possa,
Che ognun per sè la brameria: Minerva,
Cui pietà di te punse, e di cui fida
Per tuo conforto ambasciatrice io venni.
     E la saggia Penelope a rincontro:1040
Poichè una Dea sei dunque, o almeno udisti
La voce d’una Dea, parlarmi ancora
Di quell’altro infelice or non potrai?