Pagina:Odissea (Pindemonte).djvu/147

Da Wikisource.
132 odissea

Cosa, ch’io valga oprar, nè si sconvegna,
Disdirti io non saprei, se il pur volessi.120
Su via, ricevi l’ospital convito:
Poscia favellerai. Detto, la mensa,
Che ambrosia ricopria, gli pose avanti,
Ed il purpureo nettare versògli.
Questo il celere messaggiero, e quella125
Prendea; nè prima nelle forze usate
Tornò, che apria le labbra in tali accenti:
Tu Dea me Dio dunque richiedi? Il vero,
Poichè udirlo tu vuoi, schietto io ti narro.
Questo viaggio di Saturno il figlio130
Mal mio grado mi diè. Chi vorria mai
Varcar tante onde salse, infinite onde,
Dove città non sorge, e sagrifici
Non v’ha chi ci offra, ed ecatombe illustri?
Ma il precetto di Giove a un altro Nume135
Nè vïolar, nè obbliar lice. Teco,
Disse l’Egidarmato, i giorni mena
L’uom più gramo tra quanti alla cittade
Di Priamo innanzi combattean nove anni,
Finchè il decimo al fin, Troja combusta,140
Spiegaro in mar le ritornanti vele.
Ma nel cammino ingiuriâr Minerva,
Che destò le bufere, e immensi flutti