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Pagina:Odissea (Pindemonte).djvu/227

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212 odissea

D’ira bollendo, alla secreta stanza,
Ove steso giaceagli il caro letto,370
S’avviò in fretta, e alla lettiera bella
Sparse per tutto i fini lacci intorno,
E molti sospendeane all’alte travi,
Quai fila sottilissime d’aragna,
Con tanta orditi, e sì ingegnosa fraude,375
Che nè d’un Dio li potea l’occhio torre.
Poscia che tutto degl’industri inganni
Circondato ebbe il letto, ir finse in Lenno,
Terra ben fabbricata, e più, che ogni altra
Cittade, a lui diletta. In questo mezzo380
Marte, che d’oro i corridori imbriglia,
Alle vedette non istava indarno.
Vide partir l’egregio fabbro, e, sempre
Nel cor portando la di vago serto
Cinta il capo Ciprigna, alla magione385
Del gran mastro de’ fuochi in fretta mosse.
Ritornata di poco era la diva
Dal Saturníde onnipossente padre
Nel conjugale albergo; e Marte, entrando,
La trovò, che posava, e lei per mano390
Prese, e a nome chiamò: Venere, disse,
Ambo ci aspetta il solitario letto.
Di casa uscì Vulcano: altrove, a Lenno