Pagina:Odissea (Pindemonte).djvu/237

Da Wikisource.
222 odissea

     Già le carni partiansi, e nelle coppe
Gli umidi vini si mesceano. Ed ecco620
Il banditor venir, guidar per mano
L’onorato da tutti amabil vate,
E adagiarlo, facendogli d’un’alta
Colonna appoggio, ai convitati in mezzo.
Ulisse allor dall’abbrostita, e ghiotta625
Schiena di pingue, dentibianco verro
Tagliò un florido brano, ed all’araldo,
Te’, disse, questo, e al vate il porta, ond’io
Rendagli, benchè afflitto, un qualche onore.
Chi è, che in pregio, e in riverenza i vati630
Non tenga? i vati, che ama tanto, e a cui
Sì dolci melodie la Musa impara.
     Portò l’araldo il dono, e il vate il prese,
E per l’alma gli andò tacita gioja.
     Alle vivande intanto, e alle bevande635
Porgean la mano; e furo spenti appena
Della fame i desiri, e della sete,
Che il saggio Ulisse tali accenti sciolse:
Demodoco, io te sopra ogni vivente
Sollevo, te, che la canora figlia640
Del sommo Giove, o Apollo stesso inspira.
Tu i casi degli Achivi, e ciò, che opraro,
Ciò, che soffriro, con estrema cura,