Pagina:Odissea (Pindemonte).djvu/248

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libro nono 233

Vive in estrania terra. Or tu mi chiedi
Quel, che da Troja prescriveami Giove45
Lacrimabil ritorno; ed io tel narro.
     Ad Ismaro, de’ Ciconi alla sede,
Me, che lasciava Troja, il vento spinse.
Saccheggiai la città, strage menai
Degli abitanti; e sì le molte robe50
Dividemmo, e le donne, che alla preda
Ciascuno ebbe ugual parte. Io gli esortava
Partir subito, e in fretta; e i forsennati,
Dispregiando il mio dir, pecore pingui,
Pingui a scannar tortocornuti tori,55
E larghi nappi ad asciugar sul lido.
S’allontanaro in questo mezzo, e voce
Diero i Ciconi ai Ciconi vicini,
Che più addentro abitavano. Costoro,
Che in numero vincean gli altri, ed in forza,60
E battagliare a piè, come dal carro;
Sapean del pari, mattutini, e tanti,
Quante son fronde a primavera e fiori,
Vennero; e allor di cielo a noi meschini
Riversò addosso un gran sinistro Giove.65
Stabile accanto alle veloci navi
Pugna si commettea: d’ambo le parti
Volavan le pungenti aste omicide.