Pagina:Odissea (Pindemonte).djvu/394

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libro decimoterzo 13

Grande alla lor città montagna imporre.
     Lo Scuotiterra, udito questo appena,195
Si portò a Scheria in fretta, e qui fermossi.
Ed ecco spinta dagl’illustri remi
Su per l’onde venir l’agile nave.
Egli appressolla, e convertilla in sasso,
E d’un sol tocco della man divina200
La radicò nel fondo. Indi scomparve.
     Molte allor de’ Feaci in mar famosi
Fur le alterne parole. Ahi chi nel mare
Legò la nave che ver noi solcava
L’acque di volo, e che apparia già tutta?205
Così, gli occhi volgendo al suo vicino,
Favellava talun: ma rimanea
La cagion del portento a tutti ignota.
Se non che Alcinoo a ragionar tra loro
Prese in tal foggia: Oh Dei! côlto io mi veggo,210
Qual dubbio v’ha? dai vaticinj antichi
Del padre, che dicea, come sdegnato
Nettun fosse con noi, perchè securo
Riconduciam su l’acque ogni mortale.
Dicea, che insigne de’ Feaci nave,215
Dagli altrui nel redire ai porti suoi,
Distruggeria nell’oscure onde, e questa
Cittade copriria d’alta montagna.