Pagina:Odissea (Pindemonte).djvu/402

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libro decimoterzo 21

E a te nulla sapere, o chieder piace,
Se con gran cura non assaggi e tenti395
Prima la tua, che invan t’aspetta, e a cui
Scorron nel pianto i dì, scorron le notti.
Dubbio io non ebbi mai del tuo ritorno,
Benchè ritorno solitario, e tristo;
Se non che al zio Nettun con te crucciato400
Dell’occhio, che spegnesti al figlio in fronte,
Repugnar non volea. Ma or ti mostro
D’Itaca il sito, e a credermi io ti sforzo.
Ecco il porto di Forcine, e la verde
Frondosa oliva, che gli sorge in cima.405
Ecco non lunge l’opaco antro ameno,
Alle Najadi sacro: la convessa
Spelonca vasta riconosci, dove
Ecatombi legittime alle Ninfe
Sagrificar solevi. Ecco il sublime410
Nerito monte, che di selve ondeggia.
     Disse, e ruppe la nebbia, e il sito apparve.
Giubbilò Ulisse alla diletta vista
Della sua patria, e baciò l’alma Terra.
Poi, levando le man, subitamente415
Le Ninfe supplicò: Najadi Ninfe,
Non credea rivedervi, e con devote
Labbra in vece io salutovi, o di Giove