Pagina:Odissea (Pindemonte).djvu/564

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libro decimonono 183

De’ servi a quel, che ingiurïarlo ardisse!
Ufficio più non gli sarà commesso,395
Per cruccio, ch’ei mostrassene. Deh come
Sapresti, o forestier, ch’io l’altre donne
Vinco, se vinco, di bontate, e senno,
Mentre di cenci, e di squallor coverto
Pasteggiar ti lasciassi entro l’albergo?400
Cose brevi son gli uomini. Chi nacque
Con alma dura, e duri sensi nutre,
Le sventure a lui vivo il Mondo prega,
E il maledice morto. Ma se alcuno
Ciò, che v’ha di più bello, ama, ed in alto405
Poggia con l’intelletto, in ogni dove
Gli ospiti portan la sua gloria, e vola
Eterno il nome suo di bocca in bocca.
     Saggia del figlio di Laerte donna,
Ripigliò Ulisse, le vellose vesti410
Cadeanmi in odio, ed i superbi manti,
Da quel dì, che su nave a lunghi remi
Lasciai di Creta i nevicosi monti.
Io giacerò, qual pur solea, passando
Le intere notti insonne. Oh quante notti415
Giacqui in sordido letto, e dell’Aurora
Mal corcato affrettai la sacra luce!
Nè a me de’ piedi la lavanda piace: