Pagina:Odissea (Pindemonte).djvu/581

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Latra, e brama pugnar: non altrimenti
Egli, che mal patia l’opre nefande,20
Alto fremea nel generoso petto.
Pur, battendosi l’anca, e rampognando
Egli stesso il suo cor, Soffri, gli disse,
Tu, che assai peggior male allor soffristi,
Che il Ciclope fortissimo gli amici25
Mi divorava. Tollerar sapesti,
Finchè me fuor dell’antro il senno trasse,
Quand’io già della vita era in su l’orlo.
     Ei così i moti reprimea del core,
Che ne’ recinti suoi cheto si stette.30
Non lasciava però su l’un de’ fianchi
Di voltarsi, o su l’altro, a quella guisa,
Che pien di sangue, e d’adipe ventriglio
Uom, che si strugge di vederlo incotto,
D’un gran foco all’ardor volge, e rivolge.35
Su questo ei si voltava, o su quel fianco,
Meditando fra sè, come potesse
Scagliarsi al fin contra i malnati Prenci,
Contra molti egli solo; ed ecco, scesa
Di cielo, a lui manifestarsi in forma40
D’una mortale l’Atenéa Minerva.
Stettegli sovra il capo, e tai parole
Gli volse: O degli umani il più infelice,