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264 odissea

Gli erano i beni, e vilipeso il figlio,
Non s’inaspri in me ancora, e non m’uccida.470
     Sorrise Ulisse, e a lui: Sta di buon core.
Già di rischio Telemaco ti trasse,
E in salvo pose, acciocchè sappi, e il narri,
Quanto più del far male il ben far torna.
Tu, araldo, intanto, e tu, vate immortale,475
Fuor del palagio, e della strage usciti,
Sedete nel cortil, finch’io di dentro
Tutta l’impresa mia conduco a riva.
     Tacque; ed usciro, e appo l’altar del sommo
Giove sedean, guardandosi all’intorno,480
Qual se ad ogni momento, e in ogni loco,
Dovesse lor sopravvenir la Parca.
     Lo sguardo allora per la casa in giro
L’eroe mandò, se mai de’ Proci alcuno
Fuggito avesse della morte il fato.485
Non rimanea di tanti un, che nel sangue
Steso non fosse, e nella polve. Come
Gli abitatori del canuto mare,
Che il pescator con rete a molti vani
Su dall’onda tirò nel curvo lido,490
Giaccion, bramando le native spume,
Per l’arena odïata, e loro il Sole
Con gl’infiammati rai le anime fura: