Pagina:Ojetti - I Monumenti Italiani e la Guerra.djvu/17

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del coro — ora dispersi un po’ da per tutto nella chiesa — recano figure intrecciate d’animali e di piante che sanno d’orientale e di persiano. Margheritone d’Arezzo vi lavorò alla metà del dugento, e sono sue la facciata e la cupola dodecagonale, forse il soffitto di legno che rammenta quello di San Zeno di Verona. Nel palazzo episcopale lì accanto morì nel 1464 Pio secondo Piccolomini, il papa umanista che fu glorificato dal Pinturicchio negli affreschi della Libreria di Siena e che era venuto ad Ancona per ordinare una ultima crociata contro i Turchi. È quello insomma, nell’Italia adriatica, uno dei luoghi più sacri alla storia e alla pietà perchè vi si affollano i ricordi del nostro dominio e della nostra vita in Oriente: e la bella chiesa alta sui leoni del suo portale pare stia lì di faccia al mare a benedire dal suo monte dirupato chi salpa per la riconquista.

Il primo dei proiettili nemici abbattè la torricella cilindrica sulla cupola. Il secondo entrò nella chiesa, infranse l’organo del Callido, colpì uno dei piloni della cupola. Altri due proiettili squarciarono in alto la navata centrale e sconvolsero il tetto. Ma dal quinto vennero le peggiori rovine: entrò esso dal fondo della Cappella del Sacramento, percorse quasi orizzontalmente la navata e si andò a conficcare sul muro di facciata: il cenotafio del beato Girolamo Gianelli scolpito da Giovanni da Traù fu scheggiato in più punti; due quadri, uno del Bellini di Urbino, l’altro del Simonetti di Ancona, furono distrutti; le volticelle a crociera delle navi minori caddero o dovettero essere sùbito abbattute tanto pericolavano. Un sesto colpo smantellò il tetto sulla Cappella della Madonna.

Questi fatti voltarono l’animo di molti anche a Venezia dove intanto, dichiarata la guerra, ogni potere s’era raccolto nelle mani dell’ammiraglio comandante la Piazza. Si seppe allora che fin dal principio dell’aprile il Consiglio dei Ministri aveva provvidamente ordinato si difendesse almeno il Palazzo Ducale, per quanto era possibile, contro le minacce dal mare e dal cielo. Il Ministero della Guerra si addossò súbito le spese di quelli e degli altri lavori di difesa a fabbriche monumentali, chè per somma ventura v’era allora direttore generale per l’Artiglieria e per il Genio il generale Alfredo Dallolio, poi ministro delle Armi e Munizioni, un amico, anzi un innamorato di Venezia, dove era vissuto per anni quando dirigeva i formidabili lavori di difesa al Lido. Comandava l’ufficio del Genio militare in Venezia e su tutto il territorio della piazzaforte, il maggior generale Devito Francesco. Egli avocò a sè la direzione e il controllo di questi lavori che


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