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con la mansuetudine e l’umiltà; ora la credevo una civetta, ora una donna onesta innamorata ma troppo debole per saltare il Rubicone. Intanto i mesi passavano. Chi di voi è stato a casa sua?

— Io, io – dissero due o tre soci.

— Avete veduto la cameriera? È una francese bionda, molto corretta e molto seria all’apparenza. Io per parecchio tempo non le badai. Un giorno per caso ella mi riaccompagnò invece del domestico, e in anticamera aiutandomi a mettere il pastrano, indugiò colle mani sulle mie spalle tanto che io mi voltai con curiosità. Ella sorrise con furberia, arrossì e corse ad aprir la porta; io uscendo le passai una mano sulle guancie ed ella sorrise senza protestare. «Se la padrona avesse la benevolenza della cameriera, io sarei un uomo felice,» pensai uscendo. Da quel giorno, tutte le volte che la Gavini mi diceva d’andare a casa sua, io in anticamera mi ricompensavo delle privazioni subite in salotto. Una sera avendola incontrata per le scale deserte, la baciai, la invitai a venir da me, e ci venne.

— Da te? Facesti male. Potevi portarla in un albergo qualunque...

— Perchè feci male? Ti assicuro che quella ragazza è elegante e bianca quanto una signora, anzi quanto la sua signora.