Pagina:Ojetti - Mio figlio ferroviere.djvu/115

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mio Nestore vi avevano accumulato grasce e tesori, vennero cautamente a riprenderseli. Ma tutti per gratitudine vollero lasciare a Giacinta un dono o, come si dice volgarmente, una tangente. E i doni, paragonati alla modestia della nostra vita, furono tanti che di capponi ne avemmo fino a Natale, e il prosciutto che stamane Teta m’ha servito per colazione, viene ancóra da uno dei prosciutti guadagnati in quei giorni. Che dici, lettore? Che non avrei dovuto mangiarli? Ma non erano essi un legittimo dono dei loro legittimi proprietarii? E questi proprietarii li avevo io invitati a nascondere a casa mia le loro salate ricchezze? A me, come premio di salvataggio, sarebbe bastato lo spettacolo della loro paura. Dunque non mi rimproverare. E se hai almeno l’ombra della filosofia ricordati di che è fatto uno stoico. È stoico colui che, riconosciuta la vanità di tutto, s’accomoda al proprio destino cercando di trarne un partito ragionevole. Io sarei uno stoico. Perchè mi biasimi? Sii italiano, ed imitami.