Pagina:Ojetti - Mio figlio ferroviere.djvu/127

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ginnastici all’aperto, sembrava davvero un mulatto. Ma in quella pelle abbronzata, gli splendevano due occhi così chiari e grandi e luminosi che ti conquistavano al primo sguardo. Nè t’ingannavi, che aveva l’animo franco e gioviale quanto aveva il corpo solido ed agile; e a vederlo camminare, danzare, correre, ridere era uno spettacolo che mi pareva bello quanto e più di tanti quadri e sculture da cartoline illustrate. Certo, io lo guardavo con l’occhio d’un vecchio medico che sa quanto rara sia la vera salute e la vera forza; pel quale anzi l’uomo normale è l’uomo malato. E mi sembrava un capolavoro, e mi riconciliava con la vita e anche con la vecchiezza. Come una bella musica o una bella architettura comunicano, a chi se ne intende, la loro serenità e grandezza, così a guardare il buon Tocci m’illudevo d’essere anche io valido e armonioso ed equilibrato com’egli era: e restavo fermo per non perdere al primo gesto l’illusione. I soldati, si diceva, lo amavano anche per la sua perizia e sicurezza in tutte le ginnastiche. E delle donne non parlo: prima, si capisce, la signora Cencina. Si narrava che ai primi approcci di lei egli non avesse titubato, ma anzi spalancando su tutto quel roseo i suoi grandi occhi tranquilli, avesse risposto preciso: – Niente fino al mese venturo. Mi preparo alla gara di salto in lunghezza. – Cencina aveva mostrato d’offendersi e gli aveva detto, sempre a quel che si narrava, ch’egli era un bel presuntuoso e maleducato. Tocci non s’era offeso; ma ai primi del mese