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Pagina:Ojetti - Mio figlio ferroviere.djvu/231

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più s’affrettarono a sentenziare che era un imbecille. Non lo era: doveva esserlo stato. Cogli anni che erano anche più dei miei, coi traslochi e con le rinunzie, egli infatti s’era combinato un frasario, una piccola collezione di gesti e di giudizii, un manuale insomma del perfetto prefetto che gli si addiceva a pennello e che incuteva ormai una certa reverenza. Si sentiva che egli aveva catalogato gli uomini in tante classi (poche, per non confondersi) come fanno i militari coi gradi, a forza di stellette e galloni, tanto da poter súbito misurare, guardandoti una manica, senza lo sforzo di guardarti in faccia, quanto tu sia intelligente, obbediente, rispettabile. La prima classe, per lui, era di quelli che avevano dirette conoscenze a Roma, nei ministeri; la seconda, di quelli che qualche conoscenza forse ve l’avevano, ma indiretta, tanto da lasciargli insinuare tempestivamente un telegramma o un rapporto ai superiori prima che ad essi giungesse la protesta dei cittadini di seconda classe; la terza, di quelli che per parlare al Governo dovevano fatalmente passare pel tramite di lui sottoprefetto. Nella prima classe erano i senatori, i deputati, i grandi avvocati; nella seconda i pochi milionari del suo circondario, tutti i così detti sovversivi, e le donne che a lui sembravano belle ed eleganti. Si sbagliava qualche volta come può sbagliarsi un generale il quale parlando con un tenente non sappia che egli è figlio d’un deputato influente. E quando si sbagliava, aveva uno smarrimento nello sguardo e un arresto di respiro