Pagina:Ojetti - Mio figlio ferroviere.djvu/233

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Ero a Roma, veramente. Si fermò chè la parola Roma gli era ostica. Ma considerandomi della seconda categoria, riprese con fiducia il suo dire. — .... aspettavo il suo ritorno per chiederle di lasciare includere il suo nome nella lista del blocco per le elezioni amministrative. Balzai in piedi. Egli restò seduto. Non l’avevo mai veduto dall’alto. Sulla nuda volta del suo cranio, sotto la pelle rosea e sottile che pareva seta, la sutura sagittaria si distingueva dente per dente, così nitida che pareva una lisca di pesce. E due pensieri per qualche istante m’occuparono: che il nostro sottoprefetto aveva in testa una lisca di pesce e niente altro; che a non respingere súbito, d’un colpo, la proposta di lui io perdevo per sempre la mia pace, in casa e fuori di casa. I pensieri convergevano meglio di quel che possa, o lettore, sembrarti alla prima perchè il primo finiva di togliere ogni autorità al rappresentante del Governo nel punto stesso in cui io dovevo opporgli un rifiuto. Egli continuava dolcemente: — Si tratta del pubblico bene..., – quando mi balenò l’idea che doveva salvarmi. — L’altro jeri a Roma, – gli risposi solenne, scandendo le sillabe, – parlavo con Sua Eccellenza il Sottosegretario di Stato agl’Interni.... Non ebbi bisogno di dire altro che vidi un’ondata di sangue irrorare il cranio del funzionario atterrito, e tutta la sua testa diventar paonazza. Anch’egli balzò in piedi; —