Pagina:Ojetti - Mio figlio ferroviere.djvu/280

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seppi súbito dalla stessa Margherita la quale ne rideva tranquilla coi suoi bei denti bianchi e i suoi begli occhi neri, il Signore me li conservi per altri dieci anni, che non chiedo di più. E accanto a lei che veniva spennando un pollo in mio onore, mi sedetti sull’aja ad aspettare l’arrivo di Nestore. S’udirono intanto due colpi di fucile verso il monte che per l’eco diventarono quattro, e Matteo mise la testa fuori dalla finestrella quadrata del granajo. – Cacciatori di palombe sulle quercie dei Tordelli, – gli spiegò Margherita, prima che quello parlasse. Mezz’ora dopo, un porco si dette a urlare nello stalletto, che forse dormendo gli s’era schiacciata una zampa sotto il peso del ventre, e la testa di Matteo risbucò fuori ansiosa a interrogare i cieli. – È il maiale che sogna, – ricominciò Margherita e ancóra rideva. La pace lassù era tanto piena e serena, e la vasta pianura dove la gente sudata s’azzuffava, era davanti ai miei occhi tanto bella, azzurra e lontana che tutte le vicende e gli affanni del giorno e della notte avanti, mi sembrava d’averli o letti o uditi raccontare, anni prima; e ventilato da un’arietta fresca, profumata di menta, io tornavo a ripetermi il proposito di lasciare presto, presto, e per sempre, il mio lavoro e la mia casa in città per fissarmi lassù, convinto ormai che niente placa e libera l’uomo quanto la contemplazione dei grandi spazii dove egli ritrova la misura della sua inutilità. Anzi se mi