Pagina:Ojetti - Mio figlio ferroviere.djvu/40

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tranvai noi si resta a piedi. Ai tempi del lume ad olio e della candela, del cavallo e del mulo, ogni uomo era padrone di sè. Nè il cervello è tanto libero dalle nostre mani e piedi che la schiavitù di questi non leghi e mortifichi anche quello. Da quando i meccanici sono diventati il manico della società, anche la nostra intelligenza s’è fatta meccanica, per forza, e i poeti che si sono messi a cantare le meraviglie della macchina a vapore e del motore a scoppio, sono come i cortigiani d’una volta che cantavano le prodigiose gesta dei loro padroni, perchè la loro vita, mangiare, vestirsi e dormire, dipendevano da essi e non c’era scampo. Venite all’ombra dei bei gigli d’oro.... I gigli d’oro ora sono leve d’acciaio, ma la schiena del poeta si dà alle stesse flessioni. Soltanto, dall’ombra dei Gigli d’oro e dell’Aquila imperiale e delle Somme Chiavi sfuggiva facilmente chi cercava pace e niente altro. La meccanica invece oggi ti toglie, se vuole, la luce, il moto, le vesti, il cibo, e al più ti lascia solo la libertà di dormire a digiuno. E come allora i cortigiani si studiavano d’imitare nelle vesti e nella favella, nei gesti e nei pensieri, nei gusti e negli amori il monarca, così oggi tutti si fanno più che possono, dentro e fuori, meccanici. E Nestore in quello stambugio davanti alla cantina seguiva il secolo, e non tanto aggiustava un congegno quanto accomodava sè stesso ai suoi tempi. Ma io allora non me ne accorgevo.