Pagina:Ojetti - Mio figlio ferroviere.djvu/51

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Ancóra, veramente.... — Lo Stato siamo noi, noi organizzati. Non mi dirai che lo Stato sia il Governo. Il Governo regna e non governa. Non lo diceva anche lo Statuto? — Non diceva proprio così. Hai mai letto lo statuto del regno, tu che ti sei dato alla politica? — No. Quando ero in liceo, andammo in due o tre a cercarlo da quattro libraj. Nessuno ce l’aveva. Lo chiedemmo a un nostro compagno che era figlio d’un impiegato della Real Casa. Il padre gli rispose che Casa Reale certo l’aveva, ma nella sua biblioteca di Torino. — Così dev’essere. A Torino trovasi anche un bel museo d’antichità egizie. Ma quelle sono ben custodite. Quando Nestore mi tracciava con questa sicurezza meccanica il disegno dei suoi progressi e profitti avvenire, sua madre interrompeva il suo cucire e restava con l’ago levato e la bocca aperta ad ascoltarlo. Le donne sono tutta pratica, e io presto m’accorsi che ella era stata indotta ad approvare quei propositi di nostro figlio, non solo dall’amore materno più forte del suo amor proprio di borghese, ma soprattutto dalla loro precisione, di grado in grado, di scadenza in scadenza, di cifra in cifra. Era contenta di vederlo procedere sopra una strada nuova sì ma soda e diritta, da padrone. Me, Nestore mi lasciava cuocere nel mio brodo di vecchio borghese e non si perdeva a “propagandarmi”. Ma a sua madre, quando erano soli, egli doveva, e deve anche adesso, fare molte confidenze