Pagina:Ojetti - Mio figlio ferroviere.djvu/66

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tu dovevi con quella faccia lì sbadigliare di noja anni e anni finchè la morte ti fosse entrata in bocca per lo sbadiglio? E invece ti sei trovato come in un teatro, seduto gratis nelle prime file, col permesso di sgattajolare in palcoscenico tra un atto e l’altro per sapere un’ora prima degli altri come andrà a finire il prossimo atto, se non proprio la commedia o tragedia che dir si voglia, perchè questo non lo sanno nemmeno gli attori. E così hai ripreso gusto alla vita, tanto che ti diverti a raccontarla in iscritto con l’illusione che, fra mezzo secolo, chi ti leggerà ci si divertirà anche lui. E questo spettacolo di varietà ti capita proprio in questa saggia età in cui non sei più distratto da brame incomposte e, bene o male, il pane e il tetto ce l’hai assicurati usque ad finem, e sei insomma, con Vittorio o con Lenin, con Giolitti o con Turati, un “signore” indipendente e, per giunta, riverito. Rispettato, te l’aspettavi e te lo meritavi; ma non t’aspettavi, tu monarchico, d’essere, per merito del socialismo, riverito, anzi temuto, dal sindaco, dal prefetto e magari dal vescovo, e perfino dall’agente delle imposte che, appena gliel’hai chiesto, t’ha ridotto alla metà il reddito professionale. Caro il mio Pietro, e non vuoi ridere? Ti ricordi che ti gridava tua moglie, alla fino della guerra? – Tu solo con la guerra non hai guadagnato niente. Scrivilo sulla porta di casa, stampalo sulle carte da visita, “solo abitante di questa città che con la guerra non ha guadagnato nè un soldo nè un grazie”. Così se non ti daranno niente, forse ti collocheranno