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368 ALKMAAR.

è lontana dall’Italia; facevo il proponimento di non viaggiar mai più solo, e mi pareva di non aver mai più da tornare a casa.


In quel punto mi trovavo proprio nel cuore della Nord-Olanda, di quella piccola penisola bagnata dal Mare del Nord e dal Golfo di Zuiderzee, ch’è quasi tutta più bassa delle acque che la circondano, ch’è difesa da una parte dalle dune e dall’altra da immense dighe, e frastagliata da un’infinità di canali, di laghi e di paludi, che le danno l’aspetto d’una terra per metà sommersa, e destinata a sparire sotto le onde. Per tutto lo spazio che si poteva abbracciare collo sguardo, non si vedeva che qualche gruppo d’alberi, qualche vela di bastimento e qualche mulino.

Il tratto del canale del Nord che il piroscafo percorreva in quel punto, fiancheggia il Beemster, la più grande distesa di terra che siasi prosciugata nel secolo decimosettimo, uno dei quarantatrè laghi che coprivano anticamente la provincia di Alkmaar, e che furono trasformati in bellissime praterie. Questo Beemster, che abbraccia una superficie di settemila ettari, e viene amministrato, come tutti gli altri polders, da un Comitato eletto dai proprietari, il quale fa le spese col provento d’un’imposta ripartita per ettari; è diviso in un gran numero di quadrati cinti da strade ammattonate e da canali, che lo fanno parere un’immensa scacchiera. Il fondo