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102 ODISSEA

560io so di lui: ché abbiamo sofferto lo stesso dolore.
Però timor m’incute la turba dei Proci crudeli,
la cui fiera arroganza si spinge ai confini del cielo.
Ed ora che quest’uomo, mentre io traversavo la sala,
senza far nulla di male, mi fa dolorar di percosse,
565né Telemaco, né verun altro si mosse a impedirlo.
Di’ dunque alla regina che nelle sue stanze rimanga
sino al tramonto del sole, per grande che sia la sua brama.
Allor mi chiederà ciò ch’io so del ritorno d’Ulisse,
seduti accanto al fuoco, vicino vicino: ché indosso
570non ho che cenci; e tu ben lo sai, che a te primo io ricorsi».
     Cosí disse; e com’ebbe parlato, il porcaro si mosse.
E Penelope, mentre la soglia varcava, gli disse:
«Non lo conduci, Eumèo? Perché s’è negato il pitocco?
Soverchiamente forse teme egli qualcuno? O lo frena
575altro riguardo? Sconviene soverchio riguardo ai mendichi».
     E a lei, porcaro Eumèo, replicasti con queste parole:
«Disse parole da savio, che ognuno potrebbe approvare,
per evitar le ingiurie di gente cosí tracotante.
Dice che tu l’attenda qui verso il tramonto del sole.
580Anche per te sarà cosí molto meglio, o regina,
sola col forestiere parlare, e ascoltar ciò ch’ei dice».
     E a lui queste parole rispose Penelope scaltra:
«Stolto non par lo straniero, qualunque sia pure l’evento:
poi che in nessuna terra si trovan fra genti mortali
585tanto arroganti nemici, che tramino tante perfidie».
     Cosí disse Penelope; e mosse il fedele porcaro
verso la turba dei Proci: ché nulla doveva piú dire.
E quivi queste alate parole a Telemaco volse,
standogli presso col viso, perché non udissero gli altri: