Pagina:Omero - L'Odissea (Romagnoli) II.djvu/138

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CANTO XIX 135

290Ma pria me rimandò; ché a caso un naviglio salpava
di marinai tesprozi per Dúlico ricca di biade.
E mi mostrò le ricchezze raccolte da Ulisse: eran tante,
che sostentare un uomo potrebber ben dieci progenie;
e in casa di Fidone giacevano questi cimeli.
295E disse ch’ei voleva recarsi a Dodona, e di Giove
chieder la volontà dall’eccelso stormir delle querce,
come potesse mai tornare alla patria diletta,
dopo l’assenza lunga, se a tutti palese, o di furto.
Ulisse dunque è salvo, tra poco tornar lo vedrai,
300tra molto poco; né a lungo lontano starà dagli amici
e dalla patria; e se vuoi, ne posso a te far giuramento.
— Sappia dapprima Giove l’eccelso, il piú grande fra i Numi,
il focolare sappia del nobile Ulisse, ove io siedo,
che queste cose tutte saranno come io te le dico.
305Dentro quest’anno Ulisse sarà ritornato alla patria,
mentre si strugge un mese, e un mese comincia il suo corso».
     E a lui queste parole rispose Penelope scaltra:
«Ospite, deh!, si potesse davvero compire il presagio!
Allora sí, sapresti la mia gratitudine; e tanti
310doni tu avresti, che ognuno dovrebbe chiamarti felice.
Ma dentro il cuore un pensiero cosí mi disegna il futuro:
né Ulisse a casa piú tornerà, né una scorta tu avrai
per ricondurti in patria; ché guide fra noi piú non sono
quale era Ulisse, quand’egli fra gli uomini ancora viveva
315per dare asilo, e in patria ricondurre gli ospiti sacri. —
Ancelle, ora, su via, lavatelo, e il letto stendete,
le sponde, i materassi, i velli fulgenti, ch’ei possa
starsene al caldo, finché giunga Aurora dall’aureo trono.
Fategli il bagno, al sorger dell’alba, ed ungetelo tutto.