Pagina:Omero - L'Odissea (Romagnoli) II.djvu/180

Da Wikisource.

CANTO XXI 177

350ma nella sala i Proci levarono insieme le voci:
«O sciagurato porcaro, pezzente, ove porti quell’arco?
Presto gli svelti cani t’avranno a sbranar sui tuoi porci
che custodisci pei campi, lontano da tutti, se Apollo
essere voglia a noi benigno, con gli altri Celesti».
     355Dissero. E quegli ov’era ristie’, l’arco a terra depose,
temendo perché molti gridavan cosí nella sala.
Ma d’altra parte levò Telemaco tale minaccia:
«O babbo, porta l’arco! A tutti obbedir non vorrai!
Vedi che a furia di sassi non t’abbia a cacciare ai tuoi campi,
360sebbene io sia di te piú giovin: ché sono piú forte.
Deh!, se cosí parimenti piú valide avessi le mani
di tutti quanti i Proci che intrusi si son nel mio tetto!
Bene a qualcuno vorrei procacciare un’amara partenza
via dalla nostra casa, perché d’ogni infamia son rei».
     365Cosí disse; e ai suoi detti levarono risa gioconde
i Proci tutti quanti, diêr bando allo sdegno feroce
contro Telemaco; e il fido porcaro traverso la sala
portò l’arco, ristie’, lo porse ad Ulisse divino.
Poi, la nutrice Euriclèa chiamata, cosí le parlava:
370«Telemaco ti dà quest’ordine, saggia Euriclèa:
che della sala tu le solide porte ora chiuda,
ed anche se tumulti, se urli degli uomini udissi
dentro il recinto nostro rinchiusi, non esca dall’uscio,
bensí badi alle tue faccende e rimanga in silenzio».
     375Cosí diceva Eumèo; né quella rispose parola;
e della sala bene costrutta le imposte rinchiuse.
Poi dalla casa, senza far motto, uscí fuori Filezio,
e fermò l’uscio a chiave dell’aula dal saldo recinto.
E di papiro una fune da nave nel portico v’era: