Pagina:Omero - L'Odissea (Romagnoli) II.djvu/200

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CANTO XXII 197

410Ora, su via, tutte quante le ancelle a me novera, e scerni,
quelle che m’hanno oltraggiato da quelle che sono innocenti».
     E gli rispose cosí la fida nutrice Euriclèa:
«Sta bene, tutto il vero ti dico, figliuolo. Cinquanta
sono di questa casa le ancelle che avevo addestrate
415a lavorare, filare la lana, prestare servigi.
Dodici sole fra queste da banda hanno messo il pudore,
senza né a me né alla stessa Penelope avere rispetto.
Quanto a Telemaco, allora veniva crescendo, e la madre
non lo lasciava ancora comando impartire a le donne.
420Ora lascia ch’io salga di sopra alle fulgide stanze,
e la tua sposa avverta, che un Dio circonfuse di sonno».
     E le rispose, le disse l’accorto consiglio d’Ulisse:
«No, non destarla per ora. Ma imponi alle femmine, a quelle
ree di codeste sozzure, che scendano giú nella sala».
     425Dicea cosí: la vecchia si diede a percorrer la casa
per avvertir le ancelle, che presto scendesser da Ulisse.
Questi frattanto Telemaco e il fido porcaro e il bifolco
presso di sé raccolti, parlò queste alate parole:
«Or comandate alle donne che portino via questi corpi,
430poi che le mense e i seggi detergan con l’acqua e le spugne;
poi, quando tutto vedrete in ordine dentro la casa,
fuor della stanza all’aperto condotte sian tutte le ancelle,
e nella vasta corte, fra il muro di cinta e la torre,
con le taglienti spade colpitele, sino a che tutte
435rendano l’anima, e piú non pensino al dolce sollazzo
che si pigliavan coi Proci, mescendosi a lor di soppiatto».
     Questo diceva; e le donne giungevano tutte in un branco,
con lamentele lunghe, con fiotti di lagrime vive.
Prima portarono dunque le salme trafitte all’aperto.