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Pagina:Omero - L'Odissea (Romagnoli) II.djvu/53

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50 ODISSEA

260la verità ch’io ti chiedo, non farmi segreto di nulla.
Chi sei? Di dove giungi? Qual’è la tua patria e i parenti?»
     A lui queste parole rispose Telemaco scaltro:
«Senza verun inganno risponderti voglio, straniero.
D’Itaca è la mia stirpe: Ulisse è mio padre; se dire
265non debbo fu: ché ora trovò lagrimevole fine.
Perciò, raccolti questi compagni, sul negro naviglio
mossi a cercar notizie del padre che manca da tanto».
     Tëoclimèno, mente divina, cosí gli rispose:
«Anch’io son dalla patria lontano: ché un uomo vi uccisi
270della mia stirpe; e molti gli restano amici e parenti
in Argo, di cavalli nutrice: ed è grande lor possa.
Per ischivare dunque la truce vendetta e la morte,
fuggo, ch’è omai destino per me gir fra gli uomini errando.
Or nella nave, poiché fuggiasco io t’imploro, m’accogli,
275ché non m’uccidano: mossi già sono, io mi credo, a inseguirmi».
     E a lui queste parole rispose Telemaco scaltro:
«Davvero a mal tuo grado scacciar non ti vo’ dalla nave.
Seguimi: larghi qui ti saremo di quello che abbiamo».
     Disse; e la lancia di bronzo che l’altro porgevagli, prese,
280e la poggiò sovressa la tolda del curvo naviglio.
Quindi egli stesso ascese la nave del mar viatrice,
ed alla poppa quivi si pose a sedere; e a sé presso
Tëoclimèno; e i compagni disciolser da poppa le funi.
Poi di por mano agli attrezzi Telemaco impose ai compagni,
285senza piú indugio; né quelli fûr tardi a seguire il comando:
alto d’abete il tronco levâr, nell’incasso rotondo
lo conficcarono, poi lo legaron con gómene ai bordi,
issarono con guigge di cuoio le candide vele.
Ed una prospera brezza spirò l’occhicerula Atena,