Pagina:Omero - L'Odissea (Romagnoli) II.djvu/68

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CANTO XVI 65

50mise dinanzi, rimaste dal giorno innanzi alla mensa,
entro i canestri ammucchiò sollecito il pane, ed infuse
entro una coppa d’ellera il vino piú dolce del miele;
ed egli stesso sedè dinanzi ad Ulisse divino.
Sui cibi apparecchiati gittarono allora le mani;
55e poi ch’ebber placata la brama del cibo e del vino,
queste parole disse Telemaco al fido porcaro:
«Babbo, questo straniero di dove è giunto? Nocchieri
l’hanno condotto qui? Chi eran t’han detto? Ché a piedi
non penserei davvero che ad Itaca possa esser giunto».
     60E tu, porcaro Eumèo, rispondevi con queste parole:
«Sta bene: il vero a te dirò tutto quanto, o figliuolo.
Dagli opulenti cretesi deriva, dic’ei, la sua gente,
dice che andato è in giro per molte città dei mortali;
ché a lui filava tale destino un dèmone avverso.
65Or ora, dalla nave di genti tespròte fuggendo,
giunse alla nostra capanna. Come ospite a te lo consegno».
     E a lui queste parole rispose Telemaco scaltro:
«Eumèo, queste parole che dici mi crucciano il cuore:
nella mia casa, come quest’ospite accogliere io posso?
70Giovane ancora io sono, né valgono ancor le mie braccia
a rintuzzare un uomo che farmi sopruso volesse.
E il cuor fra due partiti sospeso è nel seno a mia madre,
se debba presso me restare, e curare la casa,
la propria fama illesa serbando ed il letto d’Ulisse,
75o quello tra gli Achei che sposa la bramano, elegga,
che a lei sembri migliore fra tutti, che le offra piú doni.
Ma, pur cosí, quest’uomo che ospite è giunto al tuo tetto,
rivestirò di panni, d’un manto e una tunica bella,
e adatti gli darò calzari, e una spada a due tagli,