Pagina:Omero - L'Odissea (Romagnoli) II.djvu/92

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CANTO XVII 89

170che da ogni parte dei campi recavan gli usati pastori,
prese a parlare Medone: ché questo fra tutti gli araldi
era gradito ad essi, che a tutti i banchetti assisteva:
«Giovani, adesso che tutti vi siete allegrati nei giochi,
venite dentro casa, sicché s’apparecchi il banchetto:
175ché non è male, all’ora dovuta, pensare a nutrirsi».
     Disse; e a levarsi quelli si mosser, seguiron l’invito.
E poi che al ben costrutto palagio d’Ulisse fûr giunti,
quivi deposero tutti sui seggi e sui troni i mantelli,
quivi ammazzarono capre pasciute, con pecore grandi,
180verri scannarono pingui, con una giovenca di mandra,
per ammannire il pranzo. — Frattanto, moveano dai campi,
per avviarsi in città, Ulisse col fido porcaro.
Ed il capoccia, dei porci custode, cosí prese a dire:
«Ospite, dunque in città davvero tu brami recarti,
185oggi, come ha voluto Telemaco! Avrei preferito,
certo, che del podere tu qui rimanessi a custodia;
ma ho del signor mio riguardo e paura, che poi
si crucci: le rampogne dei nostri signori son gravi.
Andiamo dunque via; perché buona parte del giorno
190è già trascorsa; e presto crescerà, col vespero, il freddo».
     E Ulisse a lui, l’eroe di scaltro pensiero, rispose:
«Capisco intendo: tu favelli a chi sa ragionare.
Dunque, si vada; e sin là tu fammi da guida; e un randello
dammi, se l’hai, cosí come fu reciso dal bosco,
195ch’io mi v’appoggi; ché, a quanto voi dite, molto aspra è la via».
     Detto cosí, su le spalle si gittò la sconcia bisaccia,
logora, tutta buchi, per tracolla un pezzo di corda;
ed un randello Eumèo gli diede quale ei lo bramava.
I due mossero; e a guardia restarono i cani e i pastori