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227-256 AD AFRODITE 97

questo le parve il migliore partito: rinchiuso tenerlo
nel talamo, e su lui serrare le fulgide imposte.
Un cianciuglío perenne gli uscía dalle labbra, né ombra
piú della forza avea, ch'ebbe un giorno nell'agili membra
Io non vorrei che cosí, fra i Numi che vivono eterni,
vivessi tu, che mai non dovesse finir la tua vita.
Se tale, quale adesso tu sei di sembianza e di membra,
vivere tu potessi, mio sposo in eterno chiamarti,
non sederebbe allora corruccio d’intorno al mio cuore:
invece, a te vecchiezza sovrasta, che uguale è per tutti,
senza pietà, che incombe, col tempo, su tutti i mortali,
che strugge, che affatica, che in odio è perfino ai Celesti.
Ora, per tua cagione, sarà questa mia gran vergogna,
giorno per giorno, senza mai tregua, fra i Numi del cielo,
che prima i miei disegni temevano e i dolci colloqui,
onde una volta tutti si giunsero a donne mortali
gli eterni Numi, e tutti li seppi domar com’io volli.
Or piú non oserà la mia bocca menar questo vanto
fra gl'Immortali, ché grande, ché orrendo fu troppo il mio fallo,
da non si dire, ché fu sconvolto il mio senno, quand'io
con un mortale giacqui, ne chiudo nel grembo un fanciullo.
Questi, come aprirà le pupille a la luce del Sole,
lo nutriranno le Ninfe montane dal seno ricolmo,
ch'ànno dimora negli ampî valloni di questa montagna
sacra. Non sono Dee, neppure mortali sono esse,
hanno durabile vita, manducano ambrosie vivande,
e intrecciano fra i Numi beati eleganti carole.
Con esse l’Argicída d’acuta pupilla e i Sileni
si mescono d’amore, nel fondo d’amabili spechi.
Nascono, sopra la terra che gli uomini nutre, quand'esse

Omero minore - 7.