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Dèmetra chioma bella, la Dea veneranda, nel canto
celebro prima, e la Dea dall’agil mallèolo, rapita,
come il tonante volle Croníde, dal Nume Edonèo,
lungi da Dèmetra, Dea datrice di pomi, Signora
delle stagioni, mentr’essa scherzava con l’altoprecinte
figlie d’Ocèano, e fiori coglieva sul morbido prato:
iridi, crochi, rose, viole, giacinti, e il narciso,
cui germogliò, ché fosse lusinga alla rosea fanciulla,
per compiacer Polidète — cosí volle Giove — la Terra:
fiore fulgente, brillante, miracolo a ognun che lo vegga,
sia dei mortali, sia dei Numi che vivono eterni:
ché dalla sua radice germogliano cento corolle,
e per il suo profumo fragrante sorride la terra,
alto sorride il cielo, sorridono i flutti del mare.
Meravigliata ella stese, per cogliere il dolce trastullo,
ambe le mani; e la terra, nell’ampia contrada di Nisa,
si spalancò, ne balzò, sui suoi corridori immortali,
il Dio figlio di Crono, che tutti i defunti riceve;
e la rapí reluttante, piangente la trasse sul carro
d’oro. Levava quella, con gemiti acuti, la voce,