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128 INNI OMERICI


in Atene, e alla non meno famosa coppa di Exechias, nel quale e nella quale era appunto rappresentata la metamorfosi dei pirati tirreni.

Ed entrambi questi monumenti si possono datare con qualche sicurezza. Ma dovremo credere che il poeta abbia attinto ispirazione a quelli, o che, piuttosto, li abbia ispirati?

Considerata sotto questo specialissimo aspetto, dei suoi rapporti con le arti del disegno, la poesia greca si divide in due periodi: I. Il classico, in cui la poesia suggerisce soggetti e ispira le opere dell’arte figurata. II. L’alessandrino, in cui la poesia deriva dalle arti figurate.

A proposito del nostro inno, non è qui possibile giudizio, altro che soggettivo. E, soggettivamente giudicando, io direi che dovesse appartenere al primo periodo: i tratti caratteristici che in opere dell’età alessandrina rendono quasi tangibile la derivazione da opere dell’arte figurata, qui non riesco a vederli 1.

E, nel complesso, mi sembra che, per la schiettezza della linea e la vivacità della rappresentazione, questa sia una gemma, piccola, ma non torbida, della poesia greca. «Legga — dice il Baumeister, che anche qui dimostra il solito buon gusto — le corrispondenti descrizioni di Nonno e di Ovidio, chi vuol vedere quale abisso vaneggi fra l’antica semplicità, e l’esagerazione e l’opacità degli epigoni».

Non saprei però tacere che uno dei più accreditati «specialisti d’Inni omerici», vale a dire il Gemoll, non è di questa opinione, e assicura che il valore dell’inno è assai limitato.


  1. Vedi, in quella collezione, la mia prefazione e le note a Teocrito, specie quelle agli idilli XXII e XXV.