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Pagina:Omero minore.djvu/171

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168 BATRACOMIOMACHIA

stretto in amore fu, dell'Erídano presso a le sponde.
Ed anche te, piú bello d’ogni altro ti veggo, e piú forte:
lo scettro in pace, in guerra tu stringi, di certo, la spada:
un re sei tu: vien’ presso: qual'è la tua stirpe a me narra».

     E a lui Rubamolliche rispose con queste parole:
«Perché la stirpe mia chiedi tu? La conoscono tutti
gli uomini, i Numi tutti, gli uccelli che volano in aria:
Rubamolliche sono, se chiedi il mio nome: son figlio
del generoso Rodipagnotte: la mia genitrice
fu Leccamàcine, figlia del Sire Rosicchiaprosciutti.
In un presepe a luce mi die’, m'allevò fra i mortali,
con fichi mi nutrì, con noci, con ogni leccume.
Ma come essere amico ti posso, se tanto diversi
sono i costumi nostri? Tu vivi nell'acqua: io costumo
tutto mangiar che si trova fra gli uomini, e nulla mi sfugge:
non pane, entro il rotondo canestro, di fior di farina,
non la schiacciata a pieghe di manto, col sèsamo e il cacio,
non di prosciutto la fetta, né, avvolti entro candida rete,
i fegatelli, o la molle caciotta di latte soave,
non la focaccia di miele, cui bramano anch'essi i Celesti,
né quanto pei festini degli uomini apprestano i cuochi,
con leccornie d'ogni specie rendendo le pentole adorne.
Ma non ràfani io rodo, non cavoli rodo, né zucche,
non di pallenti biete mi nutro o di sèdani: queste
cibarie, fanno tutte per voi che vivete in palude».

     E Gonfiagote, a queste parole sorrise, e rispose:
«Troppo t’esalti per quello che in pancia tu insacchi, o foresto.
In terra e nel palude godiamo anche noi belle cose: