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POESIE MINORI 189

Riguardo abbiate a me, che bisogno ho di casa ospitale,
voi che abitate l’eccelsa città, la figliuola occhibella
di Cuma, al piede estremo di Sàrdene fitto di selve,
voi che del fiume divino bevete l’ambrosïe linfe,
dell’Ermo vorticoso, cui padre fu Giove immortale.

Il cuoiaio, che si chiamava Tuchio, udí i versi, si mosse a pietà, fece entrare il poeta mendico, l’ospitò. E, a poco a poco, sparsa la voce, altri ed altri abitanti di Neòtico vennero ad ascoltare Melesígene. E questi compose in quel tempo La spedizione di Anfiarao contro Tebe, gl'Inni ai Numi, le Sentenze intorno ai quesiti che gli proponevano gli ascoltatori.

Qui, dunque, rimase un certo tempo; «e ancora ai miei giorni — soggiunge lo scrittore — gli abitanti di Neòtiche mostrano il luogo in cui Melesígene sedeva a poetare, e lo circondano di gran venerazione; e vi frondeggia un pioppo, che essi dicono cresciuto nei giorni in cui Melesígene visse fra loro».

Ma, come succede, col tempo anche l’ammirazione dei Neotichesi affievolì, o, per lo meno, divenne meno redditizia. E il poeta, vedendo che oramai stentava a guadagnarsi la vita, decise di proseguire verso Cuma. E prima di partire scrisse i seguenti versi:

Alla città degli onesti m’adducano súbito i piedi:
hanno saggissima mente, han cuore sollecito al bene.

Da Neòtico, dunque, andò a Cuma. E in questo periodo scrisse per Mida, il famoso re di Frigia, l’epigramma che al tempo dell’autore si leggeva ancora inciso sul suo monumento, e che anche noi possediamo.