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Pagina:Omero minore.djvu/23

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20 INNI OMERICI 49-78

e l’isola pregò, cosí la parola le volse:
«Delo, vorresti rifugio prestare al mio figlio diletto,
a Febo Apollo, e a lui qui erigere un fulgido tempio?
A te nessuno mai verrà qui, per renderti onore,
ché tu ricca non sei di bovi, credo io, né di greggi,
né dar potresti ricche vendemmie, né fitti ricolti.
Ma quando un tempio avessi d’Apollo che lungi saetta,
gli uomini tutti qui verrebbero a offrirti ecatombi,
s’adunerebbero qui. Di fumi di vittime sempre
olezzeresti, se tu potessi nutrir le tue genti,
sempre, di padre in figlio: ché pingui non son le tue zolle».
     Cosí diceva. E Delo fu lieta, cosí le rispose:
«Figlia del sommo Còo, Latona famosa, il tuo parto
accoglierò ben lieta, il Dio che lontano saetta:
ché la mia fama troppo, davvero, fra gli uomini è trista;
e invece, onor cosí riscuoter da tutti potrei.
Ma d’una voce temo, Latona, né a te lo nascondo.
Vanno dicendo che pieno sarà di superbia tuo figlio,
che troppo dominare vorrà sopra tutti i Celesti,
e nella terra datrice di spelta, su tutti i mortali.
Per questo, nutro grande timor nella mente e nel cuore,
che, appena abbia tuo figlio veduta la luce del sole,
l’isola spregi, perché son tutta coperta di rovi,
e con un calcio giú negli abissi del mare mi spinga.
M’affonderà, sul capo piombando a coprirmi, un gran flutto,
ed egli altrove andrà, nella terra che piú gli gradisca,
a costruire il suo santuario alberato ed il tempio.
E in me le negre foche verranno a scavare le tane,
quando io vota sarò di genti, i lor talami i polpi.
E dunque, o Dea, tu devi prestarmi il tuo giuro solenne