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22 INNI OMERICI 108-136

súbito fuori Ilizia chiamò dalla casa, sull’uscio,
e tutte quante cosí le volse le alate parole,
come le avevano detto le Dive signore d’Olimpo.
E, infine, il cuore in seno pervenne a commuoverle; e i piedi
rapidi mossero, e parvero a voi trepidanti colombe.
E come a Delo Ilizia, che i parti lenisce, fu giunta,
Latona còlta fu dalle doglie, ed al parto s’accinse.
Strinse una palma con ambe le braccia, piegò le ginocchia
sul prato molle, e sotto fu tutta un sorriso la terra;
e a luce il Dio balzò: liete grida levaron le Dive.

     Qui ti lavarono, o Febo, degli uomini ausilio, le Dive
con acqua bella, mondo ti resero e puro, di fasce
bianche, novelle, fini, t’avvolsero, e il laccio fu d’oro.
Né da sua madre Apollo dall’aurea spada ebbe il latte;
bensí con le sue mani purissime nettare e ambrosia
al pargoletto Tèmi porgeva. E fu lieta Latona
che un figlio era a lei nato possente, signore dell’arco.
E come avesti poi gustato quel cibo immortale,
i lacci d’oro piú non frenarono, o Febo, i tuoi guizzi,
non ti frenaron le fasce, si sciolsero tutti i legami.
E volse Apollo Febo cosí la parola alle Dive:
«Date la cetra a me diletta, con l’arco ricurvo,
e agli uomini profeta sarò del volere di Giove».
E, cosí detto, balzò della terra pei tramiti grandi
Febo che intonse ha le chiome, che lungi saetta. Stupore
colse le Dive. E d’oro fu florida l’isola tutta,
come pei fiori una selva sul vertice sommo d’un monte,
quando il rampollo mirò di Latona e di Giove, pel gaudio
che il Dio scelta l’avesse fra l’isole tutte, e le terre,