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Pagina:Omero minore.djvu/41

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38 INNI OMERICI 21-47

oltre procede a gran passi: gli raggia un fulgore d’intorno,
sprizzano raggi abbaglianti dai pie’, da la tunica bella.
Questo animoso contegno vedendo, s’allegrano in cuore
Giove dal senno eccelso, Latona dai riccioli d’oro,
citareggiare il figlio vedendo fra i Numi immortali.

     Come inneggiarti potrò, se tu sei da te tutto un inno?
Per le tue nozze forse ti devo cantar, per gli amori?
Come cercasti bramoso la vergine Atlàntide a nozze,
ed Ischio t’era, figlio del figlio d’Elàto, rivale,
e pur Forbanti, figlio di Tríope, ed anche Amarinto,
ed anche, con la sua prediletta consorte, Leucippo,
questi a cavallo, tu a piedi: ché seco era mosso Triòpa.
O come, pei mortali cercando dapprima i responsi,
via per le terre errasti, Signore che lunge saetti?

Prima, allorché scendesti d’Olimpo, venisti alla Pieria,
a Lacmo oltre, alla terra d’Emazia passasti, agli Enèni,
oltre ai Perrèbi, e presto giungesti alla terra di Iolco,
salisti nell’Eubèa, per le navi famosa, al Cenèo.
Poi, di Lelanto al piano sostavi; e neppure ti piacque
il santuario qui costruire, la selva alberata.
Quindi l’Euripo, o Nume che lunge saetti, varcasti,
al verde monte sacro giungesti; ma presto da quello
partisti, a Micaleso giungesti, all’erbosa Teumeso.
Quindi alle sedi venisti di Tebe coperte di selve;
ché nella sacra Tebe nessuno degli uomini ancora
facea soggiorno, e vie non erano ancora o sentieri,
sul suol di Tebe altrice di spelta; ma c’era la selva.