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136 | poesie |
LXXXIV
Disperazione amorosa.
In quei, che m’han trafitto,
Occhi, si legge scritto
Per amorosa mano:
Ogni sperare è vano.
5In van sono i sospiri,
In van sono i martiri;
Nè preghiere, nè pene
Con esso noi conviene,
O fuggir come cervo,
10O soffrir come servo.
LXXXV
Non vuol più mirar la sua Donna.
Occhi soverchio arditi,
Che agli amorosi inviti
Così leggier correste;
Quel che a lor non credeste,
5Ecco provate appieno.
Il bel guardo sereno
Or tutto è nubiloso,
Il sorriso amoroso
Or tutto è feritate:
10Deh che non v’annegate
Entro pianti infiniti,
Occhi soverchio arditi?
Che per certo men dura
Era nostra ventura,
15Se nascevate spenti.
Su tristi, su dolenti,
Su su gitene, gite,
Lunge da me fuggite;
Amo vedermi cieco,
20Anzi che avervi meco.
LXXXVI
Che i suoi tormenti gli son cari.
Dolcissima Terilla,
Se mi giri tranquilla
Tuoi guardi un sol momento
Tale tormento io sento,
5Io sento tal martire,
Ch’è martir da morire;
E se a mirare io vegno
Turbàti di disdegno
Tuoi guardi un sol momento,
10Tale tormento io sento,
Io sento tal martire,
Ch’è martír da morire.
Dunque se disdegnosa,
Terilla, o se amorosa
15Mi dai martir sì forte,
Come il martír di morte;
E quando, ed onde aspetto
Parte d’alcun diletto?
Odo ben io, che dici,
20Miseri occhi infelici,
Mirar non mi vogliate;
Or così consigliate,
Begli occhi, gli occhi miei?
Ah che innanzi torrei
25Sotto estremo martire
Morire, e rimorire,
Che perder solamente
D’un guardo vostro ardente
Non pur l’intera luce,
30Ma sol ciò, che riluce
Dentro una sol favilla.
Dolcissima Terilla,
Non aspettar, che io pigli
Mai si fatti consigli;
35Non l’aspettar, che Amore
Condisce tuo splendore
Si, che chi può mirarlo
Più non può poi lasciarlo.
Odi, dolce Terilla,
40Odi ciò, che distilla
Arte d’Ape dorata
In sua magion cerata;
E ciò, che si raccoglie
Sull’Arabiche foglie
45Di manna mattutina,
E mirra peregrina,
Ed amomo fiorito,
E croco impallidito;
Al fin tutti gli odori,
50Al fin tutti i licori
Cari ne’ liti Eoi
Son dentro agli occhi tuoi;
Ed evvi pur non meno
Un non so qual sereno,
55Che uomo non vide ancora
Nel seren dell’Aurora;
Nè così mai risplende
Il Sol, quand’egli ascende,
Ricco in fulgida veste,
60Sovra il carro celeste,
E l’Universo infiamma,
Or così chiara fiamma
Di così care ciglia,
Terilla, chi consiglia,
65Che io mi lasci in obblio,
Non consiglia il ben mio.
LXXXVII
Per la signora Elena Pavese
Là’ve tra suoni e canti
Il cor di mille Amanti
Erano fiamma e gelo,
Donna scesa dal cielo
5Leggiadramente apparse,
E co’ begli occhi ell’arse
Ogni alma ed ogni petto.
Nuovo sommo diletto
Fu rimirarle intorno
10Il ricco abito adorno:
Era la bella veste
Qual nuvolo celeste
Che fiammeggi lacente
A’ rai dell’Oriente,