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164 poesie

XX

PER IL SIG. LODOVICO CARDI.

Che sovente la Morte a mezzo il corso
     Facciasi incontro, e le vaghezze umane
     Abbatta in terra, a chi non è palese?
     Ma pure il Cardi ce ne porge esempio,
     Poscia che col valor di varie tempre
     Ebbe condotta la Pittura in cima
     De’ pregi antichi, e che a Firenze crebbe
     Bellezza co’ mirabil suoi colori:
     Andò sul Tebro, ed onorò pingendo
     Colassuso il più bel di tutti i templi,
     Non paventando paragon; ma quando
     Sperò di sua virtù ben manifesta
     Godersi la mercè, cadde repente,
     Qual alto pin, che al fulminar trabocchi.
     Atropo iniqua, maneggiasti indarno
     La dura falce: lo spirare in terra
     Non è vita dell’uom; la nostra vita
     E gir volando per le bocche altrui:
     Ma non fia voce mai di cor gentile,
     Che del buon Cardi non rammenti il nome.

XXI

PER IL SIG. GIAMBATTISTA VECCHIETTI

Sul punto ch’io morii, contava gli anni
     Oltre i settanta, onde nel mondo io vissi
     Ben lungamente, e però far potrei
     Ampio racconto delle mie venture:
     Ma pregio di modestia è parlar poco.
     lo mi nacqui in Cosenza in riva al Crate,
     Ma fu la nostra stirpe entro Firenze
     Originata, e sovra i sette Colli
     Ebbe a fiorir mia giovenile etate:
     Quinci il Pastor che in Vatican corregge,
     Messaggiero mi elesse al Re de’ Persi,
     Ed io valsi a fornir la lunga strada;
     Poi di peregrinar tanta vaghezza
     Il cor mi prese, che trascorsi agl’Indi,
     E vidi il Gange, indi sott’alte antenne
     D’Arabia corsi e d’Etiopia i Regni:
     Per cotal guisa fummi aperto il varco
     Alle reggie de’ Grandi. Or io che tanti
     Vidi paesi, e di cotanti regi
     Scorsi l’altezza, non mirai paese,
     Ove la morte non avesse impero.
     Felice l’uom che lietamente vive,
     E che lieto alla morte si apparecchia.

XXII

PER IL SIG. ANSALDO CEBA.

Posciachè sul Parnaso e nel Liceo
     Vegghiato di sua vita ebbe lo spazio,
     Qui si rinchiude il buon Ansaldo, e dorme,
     Però che sì fatt’uom non può morire.

XXIII

PER IL SIG. TORQUATO TASSO.

Torquato Tasso è qui sepolto: Questa,
     Che dal profondo cor lagrime versa,
     È Poesia: da così fatto pianto
     Argomenti ciascun qual fu costui.

XXIV

PER IL SIG. LELIO PAVESE.

O Lelio, o fior gentil di gentilezza,
     O tanto amico della bella Aglaja,
     Ed oh delizie de’ leggiadri amori,
     Quale invidia di morte in sul fiorire
     Svelse tuoi giorni? e quale ria ventura
     Ha rubati a Savona i pregi suoi?
     Ella ti piange, e piangerà mai sempre,
     E s’acqua non avrà, che fuor dagli occhi
     Sparga a bastanza, pregherà Sebeto
     Che a lei ne venga liberal; Sebeto,
     Che ti vide morir tra le sue rive
     Nel casto grembo della donna amata.
     Che può ricchezza e gioventù? son polve
     Nostre speranze: io lacrimando scrissi
     Amaramente queste note, e prego
     Ogni anima gentil, che amaramente
     Non meno lagrimando anco le legga.

XXV

PER IL SIG. GIAMBATTISTA FEO.

Uomo non è, che pervenuto a morte
     Non possa raccontar della sua vita
     Lunghi travagli. Il cavalier di Marte
     Dirà le piaghe, e lo splendor de’ brandi,
     Ed il suon delle trombe: il condennato
     Nelle gran reggie ad inchinar le fronti
     De’ re scettrati narrerà le frodi,
     Le lunghe invidie ed i sofferti affanni
     Infra le schiere de’ bugiardi amici.
     Io, che mi vissi in su spalmate prore,
     Potrei rappresentar l’orribil faccia
     Del mare irato, ed i rabbiosi sdegni
     E d’Austro e di Boote. Anni cinquanta
     Comandai su galere a buon nocchieri:
     Dal gran Peloro all’Atlantee colonne
     Non sorge monte a gli occhi miei non noto,
     E gli ampj golfi veleggiai più volte:
     D’ogni nube, che in Ciel fosse raccolta,
     Seppi la forza, onde marino orgoglio
     A’ legni miei non valse fare oltraggio.
     Che nobil pompa non mirai sovente
     Sue regie poppe? e pure io provo al fine,
     Che le disuguaglianze un’ora adegua.
     Tutti quaggiuso navighiamo in forse.
     Altri ha tempesta, ed altri ha calma, e poscia
     Nel porto della Morte ognun dà fondo.
     Se di mia condizion saper desiri:
     Fui Savonese, e nobilmente nacqui,
     Corsi anni tre sopra sessanta, e forza
     Di mal curata idropisia mi estinse.