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del chiabrera 181

V

AL SIG. LUCA PALLAVICINO

Mandandogli alcune sorti di vino.

Col soave licor de’ buon Falerni,
     Luca, nel raggirar de i torbidi anni
     Tempra il vigor degli Iperborei verni,
     4E del petto gentil sgombra gli affanni.
Sull’altrui libertà fansi tiranni
     Del cor, s’ei ferve, i desiderj interni;
     Or perchè l’alma a travagliar condanni
     8Assai men forte, che i giudicj eterni?
Se fian tempeste, o se terrassi a freno
     Marte, o s’Inopia abbatterà le genti,
     11Il re del Cielo il si rinchiude in seno.
Indarno son quaggiù nostri spaventi;
     Sia l’aspetto dell’uom sempre sereno,
     14Purchè proprio fallir mai nol tormenti.

VI

PER UNA GIUDITTA DIPINTA

DAL SIG. CRISTOFANO ALLORI BRONZINO.

Quale splendor? qual de’ begli occhi ardore?
     Quale minaccia di sembiante altiero?
     E come a bella donna aspro rigore
     4Pon nella bianca man ferro guerriero?
A che tien per lo crin (spettacol fiero!)
     Teschio cosparso di mortal pallore?
     Chi è costei, che nell’altrui pensiero
     8Può di sè risvegliar tanto stupore?
Ella è Giuditta; allor ch’alti martiri
     Sgombrò felice dalla patria terra,
     11Mosse così del nobil guardo i giri.
Così strinse l’acciar; così fe’ guerra
     Al duce fier; credilo tu che miri:
     14Chi qui dipinse in imitar non erra.

VII

AL SIG. BERNARDO CASTELLO.

Qual duo leoni in Mauritana arena
     Mossi ruggendo ad assalire armenti,
     Or fan macel delle nemiche genti,
     4Castello, il gran Farnese, e’l grande Eumena.
Ma per Atropo ria, cui nulla affrena,
     Pur i lor giorni a mano a man fian spenti
     Onde la fronte, e i nobili occhi ardenti
     8Mai sempre adombrerà tomba terrena.
Oh quanto allor di rimirar fia vaga
     La gente i volti, e le superbe luci,
     11E gli atti ferocissimi guerrieri!
Adunque movi, e tu che puoi l’appaga,
     Avviva in carte i desïati duci,
     14E fregia Marte de’ tuoi stili alteri.

VIII

ALLO STESSO.

Odo che pien d’insolito lamento
     Piangendo il mio Castello inonda il petto,
     E pur sospira Carlo il suo diletto,
     4Sul fior de gli anni indegnamente spento.
Vesti piume volubili di vento
     E conduciti, Musa, al suo cospetto;
     Lui riconforta, e con alcun tuo detto,
     8O Melpomene, tempra il suo tormento.
Ma se fresco dolor sì lo percote,
     Ch’egli dal lagrimar non si scompagni,
     11E pasca l’alma di cordoglio solo;
Tu su cetera mesta amare note
     Rinnova, e seco sospirosa piagni,
     14A cori amici vien comune il duolo.

IX

PER LO STESSO.

Che dice Orfeo, che sull’eburnea lira
     Spargere al ciel fervidi canti io scerno?
     A che dice Arïon che suona, e spira
     4Soave sì, ch’all’Oceán fa scherno?
Dice Arïon, che nell’oscuro inferno
     Sotto gran sasso Sisifo sospira;
     E dice Orfeo, che d’avoltojo eterno
     8Eterna fame Prometeo martira:
E che ritrar gli orribili tormenti?
     Vista crudel! Perchè gli altrui dolori
     11Fossero specchio ad emendar le genti.
Or chi può tanto in semplici colori?
     Castello, ad allettar gli occhi e lementi
     14Nobile Orfeo fra nobili pittori.

X

AL SIG. PAOLO VINCENZO RATTO.

Vincenzo, se giammai per me si vede
     D’amorose faville arder due ciglia,
     E sotto chioma d’or guancia vermiglia,
     4O per legge di suon volubil piede;
La bella Clio, che su Castalia siede
     A cetere temprar mi riconsiglia;
     E così m’empie il cor di meraviglia,
     8Ch’avvegna stanco a novi canti ei riede.
Fa come per l’april vago augelletto,
     Che lusingato dal mattin sereno
     11Ben mille note vuol discior dal petto.
Or se questo mio dir dimostra appieno,
     Che poco al sommo Febo io son diletto;
     14Che assai ti pregio si dimostri almeno.