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194 poesie

Serva farà sua libertade a cenno
D’aspro Signor, per adunar moneta,
E poi disperderalla in compir voglie,
E soddisfar vaghezze della donna?
45La donna darà legge? avrà la briglia
D’ogni governo in mano? Oggi si mangia
In Belveder, diman si cena in casa,
Ove si vegghierà colle compagne.
Fatto il comandamento, ecco la casa
50Tutta in scompiglio; spenditori attorno,
Cocchi in faccende, zuccheri, vivande,
Spese da nozze; e non si tosto tolte
Fien le tovaglie, che portar vedransi
Per entro tazze d’or carte Francesi;
55Quivi fansi larghissime primiere,
Resti di doble. Ora dich’io, se vivo
Per Italia Democrito n’andasse,
Spalancherebbe la gran bocca in risi?
O la si chiuderebbe? E da pensarsi,
60Ch’ei fosse muto, rimirando avere
I cotanto prudenti Italiani
Mestier di tanto elleboro? Confesso,
Che a diritta ragione ei riderebbe.
Rida pertanto, io d’altra parte ammiro,
65Che menando la vita a lor talento
Infra cotanta copia di tesori,
In mezzo delle pompe e de’ sollazzi
L’onestà femminil stia salda in piede.
Gloria grande all’Italiche donzelle,
70Che Amor non ne trionfi, e che non aggia
Arme contra i lor petti adamantini,
Che sua face si spegna, e si rintuzzi
Ogni più forte stral di sua faretra.

XVI

AL SERENISSIMO GRAN DUCA DI TOSCANA

FERDINANDO II.

     Omai non lunge è la stagion, che sciolto
Sarà tuo braccio a maneggiar lo scettro,
Per cui t’elesse il gran Rettor del cielo;
Scettro non punto vil, ma che ti dona
5Il pieno arbitrio su’ bei campi d’Arno,
E che la tua fedel l’alma Firenze.
Nobil paese, ove Nemea non nudre
Folti boschi al ruggir d’aspri leoni,
Ove speco di Lerna in sen non chiude
10Le teste d’idra intisicate, ed ove
Non sgomenta co’ mostri alta chimera;
Ma per aperte piagge i solchi indora
Cerere bionda; ma su’ colli aprici
Coce ridendo Bacco auree vendemmie,
15E Minerva gli ulivi, e d’ogn’intorno
I cari pregi suoi spande Pomona.
Ne Febo indarno, e non indarno Marte
Va chiamando seguaci. Armate prore
Portano in Libia cavalier crociati
20All’orgoglio domar dempj tiranni.
E lungo l’Arno, come neve alpina
Candidissimi cigni alzano note,
Che dalle Mase son dettate in Pindo,
Sposando al canto le castalie cetre.
25Altero regno, e da bramarsi. O chiaro
POESIE E
Astro d’Italia, e per le sue speranze
De’ gran Medici nostri inclito germe.
Ma dassi a te, perchè pungendo il fianco
30Di Turco palafren cacci il cinghiale?
O l’animal delle ramose corna?
O perchè, sciolto il ghermitor falcone,
Per li campi dell’aria armi gli artigli
Contro l’acceggia? non si dà per certo,
35Ne tu tel credi: tu seguendo l’orme
De’ più famosi, con guerriere insegne
Devi forte atterrar nemici assalti;
E con fermo tenor d’aurei costumi
Crescer ghirlande a tua città. Non sorga
40Severo senno, ed il mio dir corregga,
Come ardito soverchio: io non straniero
Pongo oggi il piè nella tua nobil Reggia.
Già trenta volte il Sol rivolto ha l’anno,
Da che le logge io passeggiai di Pitti:
45Quivi mirommi Ferdinando, allora
Ch’ei diè l’alta Nipote al re Francese;
E quivi Cosmo rimirommi, quando
Venne l’eccelsa Donna, onor dell’Austria,
A lieto farlo di mirabil prole:
50Ne quivi disdegnò sentir miei carmi,
Che ornavano l’imprese, onde s’adorna
Livorno, i presi, e di catena avvinti
Ladroni, orror de’ Cristian nocchieri.
Ah Cosmo, ove sei gito? ove soggiorni?
55Innaspando tuo stame a mezzo il corso
Atropo si stancò; dunque lampeggia
Su bel cerchio di latte infra gli eroi.
Io col tuo successor farò parole:
Signor, cui vera fede e vero amore
60Mi stringono a vergar quest’umil foglio,
Che il forte Alcide in Gerion spegnesse
Tre fiate la vita, e ch’ei scoppiasse
Il figliuol della Terra, e ch’ei traesse
Cerbero fuor delle Tenarie foci,
65Non si dee creder no; creder si dee,
Ch’ei fren ponesse agli appetiti, e ch’egli
Domasse il rubellar de’ rei pensieri;
E schifo d’ozio in gloriosi affanni
Versasse dalla fronte ampj sudori,
70Sempre a conforto dell’uman lignaggio:
Poi le saggie donzelle del Permesso
Rabbelliro co’ rai del suo gran senno
I fatti egregj, acciò si fesser specchio
Con meraviglia alla ben nata gente;
75Perchè le note degli Aonii Numi
Altamente lusingano i mortali.
Di qui ben pronto il giovinetto Achille
Sprezzò l’amor della Reïna in Sciro,
Che addolciva con vezzi il cor feroce:
80Ne prima incominciò lo scaltro Ulisse
A lodar l’asta de’ guerrieri Argivi,
Ed il valor delle Dardanie spade,
Che nel figlio di Teti arse il desire
Del sanguinoso acciar: fonte d’argento
85Non così trasse a sè snelle cervette,
Come trasse Scamandro i piè d’Achille,
E non gli trasse in vano: ei per tal modo
Sul Xanto maneggiò l’armi materne.
Che l’altrui gloria lo sospinse a Troja,
90Ed ivi fessi glorioso in guisa,
Che ad opere di gloria oggi n’infiamma,
Sommo d’Eaco pregio: or tu non manco,