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del chiabrera 197

Null’altro omai, Pozzobonelli, avanza,
Salvo pentirsi, ed emendare i falli
Con cor dolente: Io, se ne’ dì presenti
30Non vi vedrò, vedrovvi a miglior tempo.
Non siam nati a fornir tutti i desiri
Quaggiuso in terra; ha da quetarsi l’alma,
E pur colla ragion farsi felice:
Che se nelle maremme, e se nell’erto
35De’ gelidi Appennin troviam riposo,
Ivi è Sparta, ivi è Atene, ed ivi è Roma.

XXII

AL SIG. JACINTO CICOGNINO.

     Jacinto, l’altra sera io mi posava
Soletto, come soglio, ad un librajo
Colà presso le scale di Badia.
Attendeansi da me le ventiquattro
5Per venirmene a vegghia, e passar l’ore
Al bellissimo giuoco di picchetto;
Ed ecco un uom togato. Avea costui
Le mascelle ingombrate di gran pelo,
E le ciglia aggrottate; a rimirarsi
10Uno straniero: a sorte volse il guardo
Alle rime del Varchi, e stette alquanto
Pensoso, e poscia dispettoso disse
Verso di me, che lui giammai non vidi:
Puossi egli perdonare? Un intelletto
15Acconcio a penetrar tutti i segreti
Più chiusi di natura; un uomo asato
A passeggiare collo Stagirita,
Noto nell’accademia di Platone:
Puossi egli perdonar? perdere il tempo
20In sillabar parole? in tesser versi?
E così dunque vil l’umana vita,
Ch’ella si debba consumare in ciance?
Quivi batteo le palme in sulla panca,
E volsemi le reni, e va con Dio,
25Pur borbottando. Io pien di meraviglia
Rimasi senza spirto, e senza moto,
Come la statua del gigante in piazza:
Scossimi al fine, e mi fei vivo, e meco
Presi a così parlar: Dove siam noi?
30È pur questa Firenze? or donde appare
Personaggio sì fatto, che divulga
Così pronta sentenza? e dà sul viso
Un fregio d’ignoranza all’universo?
Come fia ciò? se il Varchi era intelletto
35Acconcio a penetrar gli alti segreti
Più chiusi di natura; e s’ei sapea,
Quanto veracemente egli sapea,
Non sapev’ei, che poetando egli era
Degno di colpa? il poetare è ciancia?
40Disperdersi la vita in poetando?
Ah sciocchezza! ah bestemmia! adunque in vano
Cantò l’Argivo, ed il roman Parnaso
L’ira di Achille, e la pietà d’Enea?
Sì dicendo mi accesi, e per disdegno
45Battei col piè le lastre, e misi un grido:
Non più, non più; chi m’apparì fu larva,
Se non fu bestia. Or, Cicognino, ascolta:
Se Omero in sulle rive d’Elicona
Malamente per sè fesse ghirlanda,
50E commettesse error nell’arti sue,
Che farebbe egli allor? certo non altro,
Salvo aprir nostre bocche a gran sorrisi:
Ma se nel suo mestier Galeno inciampa,
Io rinchiuso men vo sotto un avello,
55E mia famiglia vestirassi a bruno:
Bartolo intende sanamente un testo,
È vincitor d’un piato, i tuoi poderi
Quinci son salvi dalla frode altrui,
Dolcissime vendemmie a’ tuoi figliuoli
60Andranne maturando il buon Leneo:
Ma se in cima di Pindo un sacro ingegno
Forte fa risuonar Castalia tromba,
Ecco doma l’Invidia, ecco sepolta
L’obblivïon della Letea palude,
65E della falce disarmato il Tempo.
Quinci volando di Ruggiero il nome,
E di Goffredo, se ne van per l’alto:
Fansi le città chiare, e d’aureo lume
Eternamente quell’età s’illustra.

XXIII

AL SIG. GIO. BATTISTA DE SIRI

     Siri, conosco in Roma un uomo armeno,
Che tutto vôlto a studiar del cielo
I moti, i siti, a sè non dà mai pace
Per alcuna stagion; ma se rovajo
5Sgombra le nubi, e fa ben l’aria tersa,
Ei giocondo sedendo in su i terrazzi,
Vegghia le notti fredde, ivi misura
Ogni minimo passo de i Pianeti,
E quella immensa regïon degli Astri;
10E stemprasi cercando, ond’è, che il Sole
Ora s’innalzi, ora s’abbassi, ed ora
Come spedito, ed ora par che zoppo
Sia per lo calle de’ celesti segni.
Costui, se scende a passeggiar Navona,
15Come suolsi talor, tutta la piazza
In lui rivolge il guardo, ognun l’addita:
Dice Pietro a Simone: Ecco il gran saggio,
La ragion degli Eccentrici, la norma
Degli Epicicli ei sa. L’altro risponde:
20O fortunato il padre, un uomo in terra
Saper tanto del ciel? gran meraviglia?
Tal si favella di costui, che dotto
D’alta ignoranza va formando il cielo,
Come gli sembra: e d’altra parte ascolto
25Dir parole di fiel ver gli Alchimisti:
Gente affumata, e di carbon ritinta,
Cui rubano il cervel bocce, e fornelli;
Per sè non buona, ed agli amici odiosa,
Che tracciando ricchezza, al fine è preda
30Della fuggito povertate. Or io
Fermar non voglio la plebea sentenza
Del vulgar tribunal: la plebe è bestia
Di cento teste, e non rinchiude in loro
Pur oncia di saper; possa, o non possa
35Per industria mortal crearsi l’oro,
Io non lo so, nè tuttavia m’accerto,
Che le ruote del ciel siano massicce,
Nè che degli ammirabil volgimenti
Alcun possa quaggiù farsi maestro;
40Ma facciasi; qual pro per la cittade?
Che il cittadin sia sperto degli eclissi,
Degli orti delle stelle, e degli occasi.
Qual guerra vincerà? quali edifici