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212 poesie

Tutte le squadre; di stupor s’ingombra
Come ciò fosse; e travagliato in vista
Appella i duci, e ciò ch’oprar si deggia
285Non è ben certo; allaperfine ei pensa
Di prova far quanto potesse in guerra
La maestate, ed il reale aspetto:
Dunque la spada al manço lato appende;
E di fidato morïon ricopre
290E le tempie, e la testa; e scudo imbraccia,
Armi dorate, armi gemmate; ed ivi
Ei risplendea siccome in ciel sereno
Il temuto fulgor del can celeste:
Sì fatto esce di tenda, e l’orme affretta,
295E collerica fiamma ardegli in petto;
Ch’ei mena smanie; e seco parla, e nota
Non puo’ formar: se fra stellanti chiostri
O nell’oscuro delle tombe inferne
Alcuno è, che governi, e regga il corso
300Della speranza, e dell’uman spavento,
Costui senta mie voci, e porga ajuto
In questo punto a disfogar miei sdegni,
E s’alcuno non è, che regga il mondo,
Nulla non me ne cal; potrà mia destra
305Fulminare, e tonar sopra i nemici
Per sè medesma: in guisa tal sen corre
Gorgogliando bestemmie entro alla strozza:
E già nel ciel verso le porte Eoe
A gran passi venía quasi gigante
310Il Sol portando l’alma luce al mondo,
Ed Attila girando il guardo intorno
Potea specchiarsi nella fuga indegna
Degli smagati popoli: ciascuno
Lunge da sè gittava archi, e faretre;
315Aste, e brocchier son disprezzati; ognuno
Discarcasi dell’armi, e sol si spera
Nel veloce volar del piè codardo:
Tanta viltate riguardar non valse
Il Re superbo, che doppiando l’ira
320Non tonasse dal cor minaccie ed onte
Verso i dispersi, o di guerrieri a nome
Chiamati a torto; a gran ragion le spade,
A gran ragion da voi cacciate l’aste,
Che son zappe, ed aratri i vostri arnesi;
325Ite alle stalle, ed al grugnir de’ porci,
Per cui nasceste: oh s’io ritorno al regno;
S’io vi ritorno! sì dicendo ei spande
Vampe dagli occhi, e fa crocchiare i denti
Per lo disdegno, e per la rabbia: intanto
330O carco di trofei ramo di Marte
Astro d’Italia, e per la via del cielo
Illustre scorta degli Estensi Eroi
Vibravi il brando fulminoso, e tronche
Sbranavi membra non mai stanco, ed ampio
335Versando sangue funestavi i campi;
E come avvien, che divenendo sazia
Di specchiarsi nel Sol volgesi a terra
Aquila altiera; e tra belle erbe, e giunchi
Vede stagnarsi un pelaghetto; quivi
340Lieta con largo piè voga per l’onde
L’oca cianciera, e vezzeggiando pompa
Fanno del lungo collo i gru dipinti,
E nel cristallo van tergendo l’ali
I cigni cari d’Amatunta al nume:
345Ma vago di ghermir scendendo a piombo
L’angel di Giove col vigor del rostro
Sparnazza gl’infelici; allor per l’aura
Volano penne dissipate, e l’onda
Del piccoletto mar torna sanguigna;
350Tale era quivi a rimirar fra l’armi
Il Gedeon della magion d’Ateste;
Quinci in mirar la miserabil strage
Tanto di rabbia in petto Attila colse,
Che forsennava: ei mise l’ali al piede
355Per tosto guerreggiar l’aspro nemico:
Mosse; ma lasso lui, che di sua vita
L’estremo fil gomitolava Cloto:
Tosto, ch’ei fu da presso alza la destra
Col ferro micidial verso la fronte
360Tanto odïata, e fa volar in scheggie
L’oro dell’elmo, ma rimase esposto
Il destro fianco all’inimico, ed egli
Sospinge dell’acciar l’aspra acutezza,
E spezza l’osso, e trova il core, ed apre
365Fiume di sangue, che la sabbia inonda;
Casca il tiranno, e fa sonar l’arena
Con la percossa; ei scosse poco il piede,
Che gelo il doma, ed un negror coperse
Eternamente la real palpebra:
370Allor Foresto sollevò dal petto
La nobil voce, e fece udir tal grido:
Chiunque sprezza del Monarca eterno
La data legge, e prende a scherno il cielo
Qui fermi il guardo: rassembrò quel grido
375Strepito d’Oceán, s’unqua s’adira
Il Tridentier dalle cerulee chiome;
Quinci barbaro cor non più rammenta
Che sia battaglia; e dileguò veloce
Per la campagna da temenza oppresso;
380Quivi cinta di nembi errava intorno
La sempre vaga d’ogni mal Megera,
E seco Aletto; a cui diceva: or quando
Pur doveano venir tante sventure,
Porta di qui lontano il Signor morto,
385Che fu servo di noi; vergogna immensa
Fora farsi veder vivanda a’ cani
Il mar sempre devoto a’ stigj numi;
Ed io procurerò, ch’abbiano scampo
L’afflitto avanzo delle turbe: entrambo
390Chiuser le labbra, e si metteano all’opra;
Ma venuta a suo fin l’eccelsa impresa
Piega Foresto le ginocchia, e rende
Fervide grazie al correttor del mondo;
Indi si volge alla città: ben folte
395Di gente ne venian fiumare allegre
Verso il liberator; tuono di gridi
Este portava su per l’alto, ed Este
Pronte quaggiuso rispoudean le valli,
Este per tutto risonava, ed Este:
400Così raccolto nei difesi alberghi,
Con la bella arte dell’amabil pace
Delle battaglie ristoraro i danni:
Fin qui dicea lungo lAonia riva
La bella Euterpe delle eetre amica;
405Ed io de’ lauri per le scorze eterne
Le care note ad ora ad or scrivea:
Tu vero successor de’ tuoi grand’Avi
Francesco in seggio riponevi Astrea,
E di Cerere i campi aveva in cura
410Per alloggiarvi Pace amabil Dea:
O lor felici, e fortunati loro,
Che sotto il nume tuo, novo Saturno,
Godono in questa etate il secol d’oro.