A ciascun’ora quel piacevol vento,
Che fea del bosco mormorar le fronde,
Dolce feriva nel vivace argento 124Del bel torrente, e n’increspava l’onde:
Ma chi potria narrar l’almo concento
Degli augelletti, che la selva asconde,
Quando il Sol mette a’ suoi destrieri il freno, 128E quando posa ad Anfitrite in seno?
Tra gl’infiniti, che innalzando i canti,
Mandano al ciel le care note insieme,
Talora udiasi rinnovar suoi pianti 132La tortorella, che solinga geme;
E la dolente, che cangiò sembianti,
Posta da Amore intra miserie estreme,
Iti chiamava Filomena, ed Iti, 136Ah misero Iti, rispondeano i liti.
Or quivi stando Callinice, offerse
In loggia aperta d’un bel Sole a’ rai
Sue belle chiome, che in belle onde terse 140Sì chiaro il Sol non rimirò giammai,
Ed il misero Osman tosto le scerse:
Ei procacciando di dar pace a’ guai,
Da quelle selve dipartir non suole 144Ed ecco vide il suo bel Sole al Sole.
Subitamente dal desir sospinto,
A lei manifestarsi ei muove il piede;
Ma tosto poi da riverenza vinto, 148Timido divenuto, indietro ei riede:
Di pallor, di rossore in viso è tinto,
Non sa s’ei vede il vero, o s’ei nol vede:
Da sì diverse passioni oppresso, 152A quella loggia al fin fassi da presso.
La bella donna a ravvisar non tarda
Il Turco amante, e ne pigliò disdegno,
E co’ begli occhi oscuramente il guarda, 156E se scotendo, di partir fe’ segno,
Ed ei gridava: Un, che si strugga ed arda,
È così dunque d’ascoltarsi indegno?
Infinito dolor non si consola? 160Tanto timor d’una preghiera sola?
A questi detti di partir s’invoglia
La Damigella; indi si ferma in petto
Quivi ascoltar, per dimostrar sua voglia, 164Poi fargli sempre universal disdetto:
Allora il Turco a raccontar sua doglia
S’apparecchiava, e con afflitto aspetto,
E sospirando, e palpitando fisse 168Gli occhi nel volto della donna, e disse:
Donna, se miei pensier, se miei desiri,
Che serbansi nel cor sincero e puro,
E se il focoso ardor de’ miei sospiri 172A’ sereni occhi tuoi non punto oscuro;
E se la sofferenza de i martiri
Non usati a provarsi, io ben misuro
Con quella eterna rigidezza, onde armi 176L’alma gentil, gran meraviglia parmi.
Ne so trovar cagion, perchè tua mente
Si trastulli nel duolo, onde io mi moro,
Se non perchè da voi diversamente 180Nell’alto ciel la Deïtate adoro:
Se ciò vêr me ti fa crudel, repente
Vedrai lasciarmi ogni costume Moro,
E tu, che nel mio cor siedi reina, 184Mi detterai la legge anco divina.
Ma colà, dove a gindicar si prende
Sul guiderdon d’un amoroso ardore,
Deve forse bastar, s’egli s’attende 188Solo alla legge, che ne detta Amore;
E trattando di ciò, chi mi riprende?
Quando peccai? dove commisi errore?
Certo il misero Osman non può dannarsi 192Fin qui dal giorno che ti vidi, ed arsi.
Non pria giunse il tuo volto al guardo mio,
Che tutta l’alma alle tue voglie esposi,
Sicchè del genitor mi prese obblio, 196E le case paterne in bando io posi:
Qui di fermare albergo ebbi desío,
Qui far la vita, e qui morir disposi:
E nel fulgido ciel di queste parti 200Inchinar tue bellezze, ed adorarti.
E perchè no? se de’ tesori suoi
Natura in te tanta abbondanzia piove?
Che fuor del volto, e de’ begli occhi tuoi 204Farsi felice uomo dispera altrove.
Puoi col bel guardo incenerir; ma puoi
Rinnovellarne poscia in forme nuove:
E son tue grazie a tramutar possenti 208In fonti di gioir tutti i tormenti.
Oh sovra ogni altro peregrin beato,
Oh venturosi in viaggiar miei passi,
Se, Te chinando dall’eccelso stato, 212Me tuo fedel de’ tuoi favor degnassi;
E se ben tanto ti seconda il Fato,
Che ogni mortal prosperità trapassi,
Pur, se a me non sdegnar pieghi tuoi spirti, 216Non arai, Callinice, onde pentirti.
Qual sia lo scettro suo, quanto Ottomano
Quaggiù comandi a chi non è palese?
Ed egli di tesor con larga mano 220A mio padre Giaffer stato è cortese:
Ciò che in armi solcar per l’Oceano
Di navi suol per le reali imprese
Ei regge; ed è soggetto al suo potere 224L’onorato valor di mille schiere.
Pensar quinci si può quante ricchezze,
E gemme e pompe ed onorate spoglie,
E quanti servi e quante ancelle avvezze 228Saranno ognora ad ubbidir tue voglie:
Perchè dunque nudrir tante fierezze?
Perchè bramar ch’io mi consumi in doglie?
E sostener che si rimiri uom vivo, 232Ma d’ogni bene, e della vita privo?
Aspro destino! e chi nomar può vita
Questa, che in guisa tal mi si concede?
Il viso chin, la guancia impallidita, 236Nubilosa la fronte, infermo il piede:
Sempre fanno sospir dal petto uscita,
E gli occhi afflitti il sonno unqua non vede,
E nel profondo dell’angosce estreme 240Non mi conforta pure ombra di speme.
O per gli egri mortali in questa etate
Di celeste splendor lampa superna,
Se quella, onde sfavilli alma beltate, 244Siccome immensa, anco diventi eterna:
Deh per te non si giunga a crudeltate;
Ne l’imperio d’amor mai sempre scherna,
Ma schifa al fin d’abbominevol scempio 248Rimanga al mondo di clemenza esempio