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Pagina:Opere (Chiabrera).djvu/33

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20 poesie

     Poi tolto il Cielo a’ grandi incondj è poco,
     Altro sonante, inestinguibil foco.
Qual’orrida procella
     Dunque verrà, che tanto onor sommerga?
     Tempra la cetra risonante, verga
     Le carte; alto favella:
     Dillo fra’ bassi rivi un Nil spumoso;
     Dillo fra’ colli un Caucaso nevoso.


XXIII

per lo medesimo


Se a me scendono mai l’amiche Muse
     Del Romano Alessandro a far parole,
     Contar ciascuna suole
     Sol fiumi domi, e sol città rinchiuse;
     5E sol torri abbattute in sull’arena,
     E popoli guerrier tratti in catena.
Allor mi corre un gelo entro le dita,
     Che fa quasi cader l’amata lira;
     Ma bello esempio tira
     10Lunge d’ogni viltà l’alma smarrita;
     Poi lieto corse l’Oceán profondo
     Savonese nocchier per nuovo Mondo.
Ma io non spiegherò vela veloce,
     Il mar solcando de i Fiammenghi assalti;
     15Sol tra’ fondi men alti
     Andrò radendo a men remota foce.
     Non sempre Febo ama diffuso il canto;
     Talor breve cantar degno è di vanto.
Certo con dolce suon note soavi
     20Faranno udir ne’ secoli remoti
     I belgici nipoti
     Sulla miseria, e sul dolor degli avi,
     Spente le guerre alla stagion felice,
     Ammirando la man soggiogatrice.
25Ed è ciò prova di virtute ardente,
     Che quantunque nemica, altrui non spiace.
     Quando amorosa face
     Arse la Greca, e la Dardania gente,
     Qual non fe’ scempio sanguinoso acerbo
     30L’aspro cor dell’Eacide superbo?
Lui quasi fiamma folgorante in guerra
     Per entro i gorghi suoi vide Scamandro;
     Videlo Ida e Antandro,
     Qual turbo in Ciel, che le foreste atterra;
     35O qual leon, che in questi armenti e in quelli
     Gocciar fa i denti, le dure unghie e i velli.
Oh come scosse, oh come atroce aperse
     Col braccio invitto le Nettunie mura!
     Nube di pianto oscura,
     40Per l’indomito Achille Asia coperse,
     E sotto acerbo giogo i Re cattivi
     Fur poscia il gioco de’ coturni Argivi.
Ma pur dell’asta inesorabil rea,
     Per cui venne llion campo di biada,
     45Su straniera contrada
     Fèr meraviglia i successor d’Enea.
     Sì dopo il danno infra’ nemici ancora
     Fulgido lampo di valor s’onora.


XXIV

PER D. VIRGINIO ORSINO

duca di bracciano.

Fu alle guerra di Lamagna contra i Turchi


Amabil gioventute,
     Tesor di nostra vita
     Nulla lingua a lodarli oggi ha virtute,
     Sì de’tuoi pregi appar copia infinita;
     5Vita mortal, che fora
     Senza te, se non di’ senza l’aurora?
Qual fiorito arboscello,
     Cui tra Paure odorate
     Corre lattando ognor fresco ruscello;
     10Tal appunto è mirar giovine etate,
     E s’ella veste l’armi
     Segno diviene a bello arcier di carmi.
Colpa d’infamia eterna
     Spendere il fior de’ giorni
     15Pur, come vuole Amor, che altrui governa
     Con aspro fren di due begli occhi adorni;
     E senza piaghe anciso
     Sempre adorar la vanità d’un viso.
Lunge da sì rio scoglio
     20Volse il Guerrier sua nave,
     Cui sacrando alle Muse inclite, voglio
     Farlo oggi re di bello inno soave,
     Acciò di gloria asperse
     Le piaghe sian, che in guerreggiar sofferse.
25Che all’armi ei si volgesse,
     Viengli laurea corona.
     Altra con aurea man pur glie ne lesse
     Clio de’ più vaghi fior, ch’abbia Elicona,
     Che a morte ivi ferito
     30Ei ritornasse a’ crudi assalti ardito.
Non è vana memoria
     Chiuder ne’ pensier suoi
     Di Medici e d’Orsini aulica gloria;
     Sangue nel mondo a generare Eroi
     35Per lunga età non stanco.
     Chi può posar con tanti sproni al fianco?
Quinci nell’alma ardente,
     Vaga di nobil vanto,
     Non fu de’ figli lo scherzar possente,
     40Nè della sposa giovinetta il pianto;
     Sicché almen tu fermassi
     Ne’ patrii alberghi non robusto i passi.
Io ben sovr’esso il piede
     Sì mi sento leggiero,
     45Che là ’ve Febo, o mia vaghezza il chiede,
     Correr posso veloce ampio sentiero:
     Ma che più lungo errore?
     Te qui sull’Istro oggi corona onore.


XXV

per lo medesimo


L’arco, che io soglio armar, non è sì frale,
     Che per un dardo saettato allenti;
     Anzi i secondi accenti,